
TRAMA
Inseguendo un suo collega uscito di prigione, un ispettore scopre un nazista nascostosi nel Connecticut sotto falso nome. Ora fa il professore ed è sposato.
RECENSIONI
Facile riconoscere il genio di Orson Welles quando è alle prese con soggetti impegnativi e drammaturgie raffinate: più arduo coglierlo in produzioni maggiormente di routine/commerciali, strette nelle maglie di genere come questa. A prescindere dalle dichiarazioni dell’autore (“L’ho fatto solo per dimostrare che anch’io potevo mettere in piedi un film come chiunque altro”; “Non c’è niente di me in questo film”), dalle solo discrete sceneggiatura di Anthony Veiller (i dialoghi, soprattutto) e drammaturgia figlia (anche) del montaggio, la sua messinscena regala parecchie sequenze da antologia, con una grande intelligenza nell’organizzare l’impalcatura dell’opera, indisgiungibile dalla perfetta e funzionale direzione delle recitazioni. Il modo, poi, in cui disegna il protagonista come freddo e spietato è qualcosa di unico: Welles non sarebbe Welles se non iniettasse tracce ambigue e scomode e, in questo senso, sono palpabili la rabbia e l’odio nei confronti del popolo tedesco del Terzo Reich, fino al finale con stilemi enfatizzati per rappresentare il suicidio (fotografia di Russell Metty).
