Commedia, Recensione

LO SPACCACUORI

Titolo OriginaleThe Heartbreak Kid
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Genere
Durata115'
Scenografia

TRAMA

Remake de Il Rompicuori, di Elaine May, tratto da una commedia di Neil Simon a sua volta ispirata a un racconto di Bruce Jay Friedman. Edward Cantrow, single quarantenne, conosce una ragazza bella, bionda, apparentemente “perfetta” e la sposa in quattro e quattrotto. In luna di miele, però, capisce che non è tutto oro quello che luccica e si invaghisce di una ragazza bella, mora, apparentemente “perfetta”…

RECENSIONI

Avevamo lasciato i fratelli Farrelly al finale de L’amore in gioco, che sembrava aver sancito il definitivo imborghesimento dei nostri. Di più. Sapeva addirittura di ripensamento, di detour, di abiura… loro, che avevano stravolto la commedia sentimentale americana a suon di volgarità, scorrettezze politiche e sperma, avevano progressivamente, film dopo film, moderato i toni e adesso si cimentavano infine e addirittura in una educatissima commedia sentimentale americana dal finale talmente melassoso da incoraggiare (ma non consentire) la lettura-pippa–meta-autoreferenziale-con-rovesciamento-ironico-dei-valori-cinematografici-in-campo? Più o meno, sì. Da questo punto di vista, si potrebbe azzardare che per il film successivo (questo) c’era addirittura attesa e curiosità: quale passo avrebbero fatto i Farrelly dopo quel bacio-apoteosi tra Drew Barrymore e Jimmy Fallon? Il passo è questo Lo spaccacuori, le cui intenzioni parrebbero, di primo acchito, chiare: il ritorno di Ben Stiller e la presenza dell’installazione minima di Cameron Diaz (Malin Akerman) ci suggeriscono che siamo dalle parti di un back to basics, a Tutti pazzi per Mary. Il film, però, parte “lento”, educato e sorridente. Ci sono momenti simpatici (il matrimonio della ex) sequenze riuscite (il viaggio in macchina dei neosposini, ben recitato e ben montato, con un ricorso scolastico ma riuscito al potenziale comico del fuori campo – che faccia avrà ora Ben Stiller? -) ma niente che lasci presagire la sguaiata irriverenza che ci saremmo aspettati. Questa sguaiata irriverenza invece arriva, col primo amplesso tra i due, col dirty talking e la scorreggia di lei. E questa sguaiata irriverenza tornerà sporadica, ora in forma di stanca ripetizione (gli amplessi selvaggi diventano una gag da reiterare, fino ai titoli di coda), ora di programmatico marchio di fabbrica autoriale (il dettaglio sulla villosa vulva di lei, il pissing coram populo) ora, una sola volta, di efficace superamento dei “limiti della decenza hollywoodiana” [lo spettacolo zoofilo, che con una fava – quella eretta dell’asino – prende i due piccioni della battutaccia anti-messicana e del breve ma innegabile shock grafico – l’asino che sta per prendere la ragazza more ferarum (e come sennò?)-]. Il problema è che queste cifre farrellyane denunciano, da un lato, una intenzionalità talmente marcata da diventare forzatura, e dall’altro suonano avulse da un contesto filmico sostanzialmente ordinario e che, oltretutto, da metà pellicola perde decisamente solidità. Se, infatti, la prima parte da commedia sentimentale semi-parodica ci può stare, lo snodo narrativo che la trasforma in vieta e banale commedia degli equivoci pesa fino a un finale assai prevedibile nella sua supposta imprevedibilità e che, oltretutto, arriva dopo una serie di inutili quando non deleterie lungaggini. Una parola su Ben Stiller, che ormai è l’archetipo fossile di se stesso, e un’altra sui titoli di coda, che elargiscono allo spettatore paziente ricchi premi e due cotillon: del primo si è già accennato, del secondo no, ed è il più simpatico.