Drammatico

LO SCIACALLO (1962)

Titolo OriginaleL' Aîné des Ferchaux
NazioneFrancia/Italia
Anno Produzione1962
Durata108'
Tratto dadal romanzo di Georges Simenon
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Decidendo di dare il definitivo addio alla sua altalenante carriera di pugile, Michel Maudet accetta di far da segretario a Dieudonné Ferchaux, un anziano banchiere coinvolto in uno scandalo giudiziario in fuga da Parigi per aver commesso anni prima un tragico misfatto ai danni di alcuni lavoratori scioperanti.

RECENSIONI

Per quanto concerne la genesi di L’aîné des Ferchaux (in italiano, tanto per non deflettere dalla consueta imbecillità, Lo sciacallo), unadelle sue pellicole meno ricordate, Melville avrebbe voluto stravolgere lareferenza letteraria simenoniana e, di fatto, questa era un’ipotesi che avevatrovato la sua concretizzazione in una sceneggiatura già bell’e pronta, anzi,il film era già in toto nella testa del regista quando, cedendo alle insistentipreci del produttore Fernand Lumbroso riguardo all’aderenza, decise diseguire più da vicino il romanzo di Simenon. Tuttavia, come si è semprepuntualmente verificato nel cinema di Melville, qualsiasi cosa giunga nelle suemani diviene argilla plasmabile, materia malleabile, oggetto inequivocabilmentemelvilliano.
Il detournement del romanzo di Simenon – non solo nelle sue pagineconclusive – accoglie suggestioni descrittive che ricordano molto da vicino laletteratura “nera” di Faulkner e di Thompson, soprattutto nel dipingere leatmosfere di un viaggio “salgariano” in un’ America del Sud totalmentetrasfigurata. Anche Melville preferisce affidarsi a una sorta di “turismo”cinefilico richiamando dal suo giacimento personale, nella ricostruzione degliscenari e delle ambientazioni statunitensi, tutto un immaginario cinematograficoche va dal Wise dei momenti pugilistici iniziali (Stasera ho vinto anch’io) al Siegel più geograficamentemovimentato di Il tesoro di Vera Cruz al Renoir americaneggiante di Lapalude della morte, più o meno seguendo il medesimo meccanismo dievocazioni visive adottato per Deux hommes dans Manhattan. E l’utilizzodi un cromatismo pastellato, sfumato,sembra sottolinearne la dimensione cineimageriestica. Sotto questo profilo ilpaesaggio mentale, ovvero cinematografico, che accompagna il percorso narrativodella coppia Ferchaux-Maudet, pur rimanendo necessariamente al di qua diqualsiasi deriva road-moviestica, assume un valore semantico determinante come flâneriemetalinguistica.
Il film si snoda attraverso l’incontro delle sue due figure portanti, Ferchaux e Maudet, o per meglio dire è l’incontro di questa diarchiascenico-narrativa (Melville punta ancora una volta sul rafforzamento espressivodi Belmondo in relazione a un preciso contrappunto attoriale: qui Vanel,Emmanuelle Riva in Leon Morin, pretre e Reggiani in Le doulos), lacui traiettoria segue un doppio movimento di separazione e convergenza, unasorta di configurazione a X, destinato a ripetersi dalla situazione iniziale in cui le due figure non si conoscono ancora fino alla morte di Ferchaux (nella quale la riscrittura melvilliana cambia radicalmente ilsenso del personaggio di Michel Maudet del romanzo di Simenon, irredimibilmentesopraffatto dal suo côté demoniaco). Andamento che poi traduce, all’internodel leitmotiv della fuga, le traiettorie di un doppio godimento delle duepersonalità, apparentemente contrapposte. Di un doppio desiderio dunque checoglie Maudet nella fuga da se stesso e Ferchaux nella fuga verso se stesso,ovvero quel se stesso che egli riconosce nell’alterità di Maudet, del vecchioFerchaux che desidera narcisisticamente la ripetizione del sé rappresentata dalgiovane Maudet dando luogo a un’omosessualità sui generis, autolibidica,psicanaliticamente proiettiva. I due punti di confluenza più significativi diquesta doppia direzione del desiderio inoltre, la sequenza di Ferchaux in autoche abbandonata la coriacea diffidenza senile può finalmente guardare con ammirazione Maudet (metonimicamente le sue mani) dopo l’episodio con i due marines, e la morte di Ferchaux,forniscono l’ennesima dimostrazione di un cinema come ingranaggionarratologicamente perfetto, privo di emorragie semantiche.