Fantasy, Musical

LO SCHIACCIANOCI

Titolo OriginaleThe Nutcracker in 3D
NazioneUngheria/Gran Bretagna
Anno Produzione2010
Durata107'
Tratto daliberamente da "Schiaccianoci e il Re dei Topi" di E.T.A. Hoffmann, dalla riscrittura di A. Dumas padre e dal balletto omonimo di P. I. Chaikovsky
Fotografia
Scenografia

TRAMA

La giovane Mary riceve un dono natalizio molto speciale: uno schiaccianoci di legno che conduce lei e il fratellino Max in un mondo fantastico.

RECENSIONI

Con un anno di ritardo approda nelle sale questo adattamento di stagione (è il caso di dirlo) del racconto di E.T.A. Hoffmann, convenientemente mediato dalla riscrittura di Dumas padre e soprattutto dal balletto di Chaikovsky (che presta alla colonna musicale svariate suggestioni, raccolte piuttosto pedissequamente). Non siamo più nella Germania di inizio Ottocento, ma nella Vienna degli albori del XX secolo, tra suggestioni psicanalitiche (il sogno come via maestra all'inconscio, nientemeno), innovative teorie scientifiche (la relatività, signora mia), indizi di totalitarismo (il regime paranazista instaurato da Re Ratto) e ammiccamenti cinofili piuttosto insistiti (Lang e Chaplin su tutti). Lo Schiaccianoci 3D vorrebbe proporsi come l'evoluzione estrema (in ogni senso) dei classici film Disney per tutta la famiglia, ma sembra fatto in modo da scontentare adulti e bambini (per tacere degli amanti della danza classica): inutilmente cupo e non abbastanza spigliato nello sviluppo della trama (è anche il grande limite del balletto, del resto), poco spettacolare nelle coreografie e ancor meno nei numeri musicali, schiacciato dal peso di un cast all star rigido e compassato al di là di ogni possibile intenzione autoironica. La definizione dei personaggi e dei loro rapporti (la love story in miniatura, graziosa solo sulla carta), i dialoghi avari di finezze (lo zio Albert), persino i testi delle canzoni (con la parziale eccezione di quelli del tirannico roditore), tutto contribuisce a creare un senso di maldestra improvvisazione, di scarsa meditazione, che stride fatalmente con l'apparato scenografico, tanto lussuoso quanto risaputo. Incerto, come la sua protagonista, fra la vivacità dell'infanzia e i turbamenti dell'adolescenza, Konchalovsky non prende posizione e la sua fiaba (poco) animata, dopo il vivace incipit, si affloscia, trascinandosi stancamente verso un finale prevedibile, ma non certo memorabile.

Riunitosi allo sceneggiatore dell’altro suo fantasy, L’Odissea, Andrei Konchalovsky si getta anima e corpo (regia, produzione, scrittura) in questa sorta di Giù per il Tubo ricolmo di british humour (paradossalmente, per un russo che ha lavorato negli Stati Uniti): il musical per bambini, infatti, iniettato di favolismo dark, villain pittoresco e fantasia patchwork nel dare vita a mondi alieni, è inglese nel DNA e il camaleontico regista (non senza personalità, come qualcuno afferma), vi si adatta senza colpo ferire. Reinventando “Lo Schiaccianoci” (ispirazione: “Lo schiaccianoci e il re dei topi” di E.T.A. Hoffmann), Konchalovsky profonde l’amore per la musica che permea tutte le sue opere, beneficia del paroliere Tim Rice, ha l’accortezza di dare il giusto (breve) tempo alle canzoni e sfrutta le composizioni di Ciaikovskij (odiato dai ratti: il loro controcanto, infatti, è un’accozzaglia simpatica di jazz e marcette). Figurativamente, si affida al digitale con 3D, ma anche al più naif travestimento artigianale. Sottotraccia “d’autore”, la Vienna anni venti con ratti con divise da tedeschi che, al posto dei libri, bruciano giocattoli e vogliono portare via il Sole a tutti: ma l’intento principale è far “sognare a occhi aperti” lo spettatore-bambino, e al film riesce, purtroppo, solo nella prima parte ricca d’atmosfera, che inventa un altromondo all’interno di un albero di Natale; più scontata e/perché alla ricerca della sola matrice spettacolare la seconda parte, dove si combatte, si fugge e l’azione è principe. Il non-plus-ultra: John Turturro che, dietro ad un trucco pesante, è un re-ratto dandy e crudele impagabile.