Commedia

LITTLE MISS SUNSHINE

Titolo OriginaleLittle Miss Sunshine
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2006
Genere
Durata101'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Musiche

TRAMA

La famiglia Hoover si mette in viaggio verso un concorso di bellezza per bambine, al quale deve partecipare la piccola Olive. Così inizia la loro piccola odissea.

RECENSIONI

Little Miss Sunshine è un po’ l’emblema della commedia americana indipendente che trionfa al Sundance Festival. Un po’ minimalista, a partire dal cast – se così si può dire – offre un divertimento dolceamaro, creando un universo proprio e vivace a cui si finisce in fretta per affezionarsi. Storia corale on the road, realizza con tocco leggero una satira tagliente dell’America tritacarne di oggi, tanto assurda nella sua quotidianità spacciata per normale che si può finire facilmente per diventare diversi ed alieni, disadattati e un po’ sofferenti, solo con fatica restando se stessi. La pellicola segue affettuosa i suoi personaggi che in quell’America sono costretti a vivere, ognuno aggrappato ad un sogno che è un pretesto, una ragion d’esserci, un segno implicito di distinzione rispetto ad un contorno sociale che non piace e fa paura. Little Miss Sunshine mostra quanto è difficile essere adolescenti, quanto è difficile tenere insieme una famiglia, quanto è difficile affermarsi nel mondo del lavoro sostenendo un’idea propria, quanto è difficile convivere con i rimpianti della vecchiaia, quanto è difficile essere diversi, in tutti i sensi possibili. La famiglia allargata protagonista della storia non reagisce alle avversità con irreale armonia, ma con verosimili contraccolpi nei rapporti fra i singoli, salvo poi dimostrarsi alla prova dei fatti più unita di quanto sembrasse, soprattutto unita come gruppo di “non assimilati” che in fondo si amano e sanno sostenersi.
Giocando molto sul grottesco il film regala autentiche risate, lievi commozioni mai telefonate o furbe, spunti di riflessione. E di fronte alla richiesta stringente e terrificante di successo della società occidentale contemporanea suggerisce una soluzione altra: il successo è riuscire a restare se stessi, sopravvivere con tenacia e poter contare su qualcuno. Come dimostra in fondo l’adorabile piccola Olive, in minoranza e strana in mezzo ai mostri-bambina imbellettati, contagiata dal bisogno di perseguire un sogno (sia pure tanto lontano dalla sua natura, quale è un concorso di bellezza, perché di questo agghiacciante obiettivo ella dà una lettura personale ed inedita), sfiorata da dubbi ed insicurezze come è inevitabile per chiunque, ma alla fine liberata e rivitalizzata dalla propria spontanea e dilagante espressione di sé, che finisce per trascinare e compattare tutta la famiglia.

Ci sono film che si riscattano, o che restano memorabili per il finale, dopo un’andatura solo medi(ocre)a. Quest’opera dell’esordiente Michael Arndt (sceneggiatore) e dei quasi esordienti coniugi registi (una lunga gavetta costellata di premi fra video musicali, spot e Tv) parte scoppiettante, con il mood giusto per presentare i suoi caratteri strambi, poi perde mordente, anche perché di famiglie folli americane, sul filo del grottesco e (per di più) in un on-the-road se ne sono viste a bizzeffe (ne sanno qualcosa sia Alan Arkin che diresse Quella Pazza Famiglia Fikus, che gli autori, che “rubano” la gag del nonno che muore durante il viaggio da National Lampoon's Vacation). Sketch e personaggi simpatici, mali esistenziali tutti dovuti al Sogno Americano, svolgimento prevedibile, poi arriva l’esibizione finale per “little miss sunshine” (doppiatori e distributori italiani non comunicano: il concorso è tradotto con “Piccola miss California”, il film è uscito con il titolo originale) che fa venire le lacrime agli occhi fra stupore, divertimento e rivalsa dei nerd nei confronti di un mondo di plastica, con bambine patinate, truccatissime, leziose e mostruosamente brave. Da antologia, anche se secondo modalità ben note da Full Monty in poi.