TRAMA
In una zona periferica di Londra, Bela e Jota, una coppia portoghese con tre bambini, fatica a far quadrare i conti. Quando a scuola si verifica un malinteso con la loro figlia sorda, i servizi sociali si mostrano preoccupati per le condizioni in cui vivono i bambini. Il film racconta l’instancabile battaglia contro la legge di questi genitori migranti che vogliono tenere insieme la propria famiglia.
RECENSIONI
Ci sono film che chiedono di prendere una posizione e di schierarsi. È quello che accade con l’opera prima di Ana Rocha de Sousa che mette in scena una situazione, solo all’apparenza sfumata, per evidenziare l’iniquità della normativa inglese in merito all’assistenzialismo alle famiglie indigenti con a carico minori. Al centro del racconto c’è una coppia di immigrati portoghesi con tre figli che vive a Londra e, tra lavori precari e in nero, si trova in una situazione di difficoltà economica. I problemi sono accentuati dal fatto che una delle figlie è sorda e necessita di un nuovo apparecchio acustico. Le cose si complicano ulteriormente quando un rossore diffuso, sul corpo della piccola, viene interpretato come possibili percosse. L’intervento dei servizi sociali complicherà il quadro perché offrirà risposte definitive più inclini all’applicazione di un rigido protocollo che alla comprensione; un aiuto teso in modo meccanico a risolvere senza considerare che dietro a ogni decisione ci sono dolori e scelte definitive che influiranno per sempre sul futuro di chi le vive. Un cinema, quindi, di impegno civile e sociale, sulla scia di Ken Loach e del suo sguardo dalla parte dei più deboli.
Il film opera di sintesi e cerca di andare all’essenziale, attraverso 74 minuti serrati e coinvolgenti, con attori perfettamente calati nel disagio a cui danno vita, in cui l’attenzione della regista è tutta per il lato emotivo, mentre quello legale e burocratico traspare solo nelle conseguenze che genera. Il titolo è già una dichiarazione di intenti. Quel “listen” si riferisce infatti sia alla sordità della piccola protagonista che all’incapacità della società contemporanea di entrare davvero in empatia con chi è in difficoltà, scegliendo di applicare le leggi in modo inflessibile e senza porsi mai in ascolto. Purtroppo è quello che fa, al di là della confezione efficace, anche il film che si ancora alla tesi che sostiene e lì si ferma. Ragioni e torti sono infatti già decisi in partenza, senza che si abbia modo di capire ciò che ha portato la famiglia in quello stato e perché l’assistenzialismo non sia riuscito a intercettare un malessere così evidente prima di giungere a conclusioni definitive. Piegate all’assunto anche le caratterizzazioni, sempre al limite ma mai davvero in grado di minare l’unione familiare inquinando il punto di arrivo. Ciò che vediamo finisce quindi per risultare meno problematico di come pretende di essere, pone lecite domande, ma include già le risposte. Non proprio ciò che si vorrebbe da un’opera che chiede di prendere una posizione.
Presentato nella sezione “Orizzonti” del Festival di Venezia 2020 ha vinto il “Premio Speciale della Giuria” e il “Premio Opera Prima”.