Drammatico, Recensione

L’ISOLA (2000)

Titolo OriginaleSeom - The Isle
NazioneCorea del Sud
Anno Produzione2000
Durata86'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Hee-Jin vive in una piccola casa su un lago attrezzato con piccole abitazioni galleggianti, vendendo ai pescatori cibo di giorno e il proprio corpo di notte. Un giorno arriva il misterioso e turbato Hyun-Shik e tra i due si creerà un forte legame di passione e dipendenza psicologica.

RECENSIONI

Ostaggio delle case colorate che increspano il cristallo dell’acqua, una torma di pescatori si lancia in scherzi camerateschi sull’obliquo sfondo lunare; il buio cosmico partorisce una sagoma di donna, che racconta in silenzio un normale abuso quotidiano. La figura michelangiolesca di lei, venere lesa abbandonata alla sua isola (l’imbarcazione), introduce il quarto lungometraggio di Kim Ki-Duk, oggi riscoperto dopo l’ascesa del suo autore (nell’augurio di ricomporre presto una filmografia completa), che si presenta nella forma di uno spiazzante depistaggio sentimentale per la platea: nel classico microcosmo del coreano (un eremo, una casa vuota) la poesia si nutre della violenza, la donna sfama l’uccellino del suo amato subito dopo il massacro d’un altro animale. Partendo dall’antico abbraccio tra Eros e Thanatos, il regista segue meticolosamente la propria deviazione tratteggiando un amore veicolato dal dolore: gli amanti sono capaci di struggenti tenerezze (la scultura di latta) e crudeltà impronunciabili (la gabbia nell’acqua), instaurando un rapporto duale di sottomissione/dominazione. L’uomo tenta l’abuso della donna ma verrà “pescato” da lei (letterale), la sofferenza ferina si rigetta nel masochismo (lo sfregio vaginale), unico a rimuovere il groppo di silenzio nell’urlo lancinante. Metafora di una condizione mutilata (l’assenza del verbo) è un pesce deforme, piegato all’umana perfidia, che diventa specchio per il protagonista e lo riduce istantaneamente alle lacrime.
Kim Ki-Duk, prima della presunta svolta nel suo cinema (in verità solo formale), mira dritto allo stomaco con volute sequenze di crudissimo disturbo, volte a sviluppare già pienamente le ossessioni delle opere successive: uno sguardo retroattivo sottolinea sotterranee corrispondenze, dall’umanità ascetica in fuga dal passato come in PRIMAVERA... (il rimando è anche visivo) sino alla maschile arroganza borghese (il ciccione e la prostituta) che umilia l’intimo della donna formando un dittico del silenzio col capolavoro FERRO 3. Pur lontano da tale picco di commovente perfezione, L’ISOLA è un apologo crudele sull’amare e le sue privazioni, nella forma del bacio toccante di due pennelli gialli, di un gioco di visuale attraverso vetri appannati, ora sporco ma tenero ora severo e rivoltante; esplicitare la violenza nel tessuto narrativo, elevarla a vette insopportabili, più che provocazione salottiera è testimonianza della folle depravazione della love story che, per farsi più estrema e toccante, nella scelta della protagonista attinge dal patrimonio mitico (Hee-Jin non è umana, si muove nell’acqua come sulla terra, il suo bacio è l’omicidio). Coerente con la poetica della Natura, volta accuratamente a fondersi in osmosi con l’intreccio, è inevitabile che spunti l’elemento ciclico: il tentato suicidio dell’uomo ritorna nella mutilazione della donna, l’amore violento in campo lungo si appaia al gracile sesso in primo piano. Sullo sfondo la mano del Fato: all’interferenza del ritrovamento dei cadaveri (innescata da un evento puramente “casuale”) si risponde recuperando il tessuto narrativo e biforcandolo in un doppio finale. La vita e la morte, la fuga e la tragedia: l’acqua placida accompagna l’abitazione galleggiante, i protagonisti la dominano, l’acqua immobile ricopre un nudo di sirena sovrastandolo. L’alba tersa si leva nel sangue.

Parte bene il film coreano di Kim Ki-Duk, con un'atmosfera che cresce gradualmente e personaggi enigmatici, che nel silenzio delle parole ben esprimono il loro profondo disagio e la grande difficoltà di riuscire a comunicare. Le immagini sono bellissime e costruite con cura e perizia tecnica. Poi, però, il taglio narrativo e visivo cambiano, e il regista pare volere a tutti i costi violentare lo spettatore con immagini sempre più crude e fastidiose che prevaricano la storia e l'atmosfera, anche intima, raccontata. Peccato, perché l'amore dei protagonisti era tutt'altro che banale e la gratuità di certe scelte visive e narrative riesce ad annacquarlo.