Recensione, Storico

LINHAS DE WELLINGTON

NazioneFrancia/ Portogallo
Anno Produzione2012
Genere
Durata151'
Sceneggiatura

TRAMA

Dopo che, nel 1807 e nel 1809, i tentativi di Junot e Soult fallirono, nel 1810 Napoleone Bonaparte invia il maresciallo Massena, al comando di un imponente esercito, a invadere il Portogallo. Il 27 settembre 1810 le truppe francesi sono sconfitte sul monte Buçaco dall’esercito anglo-portoghese del generale Wellington. Nonostante la vittoria, portoghesi e inglesi si ritirano in marcia forzata dinanzi al nemico, numericamente superiore, con lo scopo di attrarlo verso Torres Vedras, dove Wellington ha fatto costruire linee fortificate difficilmente valicabili. Contemporaneamente, il comando anglo-portoghese organizza l’evacuazione di tutto il territorio compreso tra il campo di battaglia e le linee di Torres Vedras, in una gigantesca operazione di terra bruciata che priva i francesi di ogni possibilità di rifornimento locale. In questo scenario si svolgono le avventure di una miriade di personaggi di diversa estrazione sociale – militari e civili; uomini, donne e bambini; vecchi e giovani -, strappati dalla guerra alla vita quotidiana e sospinti per monti e valli, tra villaggi in rovina, foreste distrutte, colture devastate.

RECENSIONI

Il film a cui stava lavorando Raul Ruiz prima della morte, scritto, come I misteri di Lisbona, da Carlos Saboga, nasce su proposta del comune di Torres Vedras, in occasione del bicentenario della vittoria portoghese su Napoleone: la storia di un popolo costretto dalle circostanze storiche (vedi la trama) a un vero e proprio esodo non poteva non suscitare in Ruiz, esule anch'egli, un interesse profondo. La dipartita del grande regista lasciava la lavorazione a livello di pura ipotesi e rischiava di far naufragare un progetto tanto ambizioso quanto economicamente impegnativo. Su volontà del produttore Paulo Branco Linhas passa nelle mani di Valeria Sarmiento, la consorte del cineasta scomparso, montatrice e regista anch'essa, che vi lavora con la il cast tecnico del marito e facendone una sorta di affettuoso omaggio (la presenza dell'attore-feticcio Melvil Poupaud, usato iconicamente - è il maresciallo francese Masséna, personaggio storico decisivo e qui privo di battute -, è una sorta di sigillo).

Ho il sospetto (no, è un'intima certezza) che l'infermità del tenente Pedro de Alencar, (Carloto Cotta) colpito alla testa da una pallottola nell'incipit (E' più morto che vivo, si dice), dovesse svolgere nel film lo stesso ruolo che nelle ultime grandi pellicole del cileno avevano avuto l'agonia di Proust e Klimt e il delirio del piccolo protagonista de I misteri di Lisbona: quello di un fil rouge tendenzialmente vaneggiante che legasse le vicende rappresentate avvolgendole in un alone onirico-visionario, in modo da trasformare la rapsodia messa in scena in una sorta di teatrino psicanalitico. Se ne ha traccia nel primo incontro del tenente con Donna Filipa Sanches (Marisa Paredes) reso nei termini di una vera e propria allucinazione. Il motivo, però, si attesta sul puro accenno e rimane sostanzialmente lettera morta. Sarmiento, legittimamente, segue insomma la sua idea di film e non si avventura sulle strade ruiziane, puntando su una più solida (e piatta) proposizione della logica della Storia: la struttura episodica del film - che passa, ricorrendovi, da personaggio a personaggio in un gigantesco affresco che utilizza le circostanze storiche come uno sfondo per concentrarsi sulle vicende personali e intime dei caratteri - vorrebbe, come nel caso de I Misteri, sconfinare nel feuilleton, ma il romanzone che ne deriva suona privo di nerbo e senza guizzi, palesandosi come corretta, sontuosa e alquanto inerte successione di bei quadri (con evidenti riferimenti iconografici) che disperdono la narrazione in molti rivoli (e col motivo ruiziano delle storie che ne contengono altre a loro volta), poveri di invenzioni e per lo più poco attraenti, non intaccandosi, peraltro, la chiarezza del disegno.

Nella assai composta figurazione, tutta per frammenti ultracurati, trovano allora spazio i siparietti di alcune star (Deneuve, Piccoli, Mastroianni, Huppert, Amalric etc) che alimentano l'impressione di una certa leziosità (Wellington - è Malkovich -, personaggio tutto virato su toni da macchietta, duetta con la sua spalla, il pittore Lévêque interpretato da Vincent Perez) e che non sembrano mai armonizzati a dovere, il film patendo una certa indecisione a livello stilistico, sbilanciandosi tra dramma, mélo e commedia e non trovando mai la giusta calibratura tra le varie cellule narrative che ne compongono l'organismo.