

Ludwig diventa l’opera d’arte, ed entra nel mito. O forse si illude di entrarci (e noi con lui), incorporando dentro di sé a turno i personaggi wagneriani: prima Lohengrin, poi Sigfrido, poi ancora Tristano e, alla fine, il ferito Amfortas non redento da alcun Parsifal.(98-99)
_x000D__x000D_
L’illustre ed entusiastica prefazione di Gian Luigi Rondi al libretto di Giuseppe Russo crea delle aspettative nel lettore che si possono definire quantomeno ambiziose. Il maestro, infatti, esordisce scrivendo:
_x000D__x000D_
Di Luchino Visconti, del suo cinema e della sua vita, la storiografia e la saggistica sembrava che ci avessero detto già tutto. Si è smentiti, invece, e con riconoscenza, da questo libro di Giuseppe Russo. (IX)
_x000D__x000D_
Fin dai risvolti di copertina, il volume si propone come una originale – e attesa – analisi dell’uso della musica nel Ludwig, il film su cui forse è stato scritto di meno, l’opera crepuscolare, il gioiello meno scintillante, ma non per questo meno prezioso, nella corona del re. Prima di cimentarsi con questo colossale testamento, Russo passa in rassegna, nel primo capitolo, tutta la carriera cinematografica di Visconti, limitandosi a nominare le musiche utilizzate dal regista per ogni suo film. Indiscutibilmente, l’autore dimostra una cultura musicale a dir poco enciclopedica, ma la lunga lista che ne risulta non offre alcun tipo di analisi, e si riduce quindi ad essere strumento per future – ipotetiche e possibili – ricerche sulla funzione di tali musiche nell’opera del grande regista. Molto più interessante e accurata è invece la ricostruzione della sorte della pellicola – fra tagli e abbandoni, fra recuperi, collaborazioni e dissonanze – che Russo conduce nel secondo capitolo del suo saggio. In questo, “l’animo dell’entomologo” (IX) che Rondi gli attribuisce permette all’autore di essere preciso e non banale, dedicandosi ad una delle attività di ricerca più faticose e meno gratificanti di chi studia cinema. Certo, alcune generalizzazioni si sarebbero potute evitare: Ludwig ha infatti subito la sorte di molti altri capolavori che resteranno, purtroppo, per sempre incompiuti perfino nelle loro prestigiose versioni restaurate (si pensi a Orson Welles come esempio/simbolo). Per questo è decisamente eccessivo affermare che
_x000D__x000D_
La storia dell’ultimo grande film di Luchino Visconti può essere considerata in un certo senso emblematica nella storia del cinema. (32)
_x000D_
Ad ogni modo, Russo si riscatta principalmente nei capitoli seguenti, quelli che costituiscono il cuore del libretto. La terza parte del libro ripercorre la vita di Luigi II di Wittelsbach, tratteggiandone la figura con grazia e onestà, per poi concentrarsi sul ritratto offertone dalla pellicola viscontiana e sulle manipolazioni storiche e ideologiche. Sicuramente interessante è la teoria che l’autore propone nell’ultima parte di questo capitolo, la cui premessa è che Visconti “parte dalla storia ma segue un percorso che la proietta nel mito” (64): Russo infatti cerca di ricontestualizzare il film analizzandone la struttura narrativa, notando che in Ludwig la Storia lascia spazio all’introspezione, all’indagine, alla moltiplicazione di punti di vista, al Dramma. Intrigante, anche se un po’didascalica, è la ricerca, nel quarto capitolo, della rappresentazione della figura di Ludwig da parte di altri artisti, fra cui Thomas Mann, Apollinaire e Paul Verlaine. Quello che stona, nella delicata eleganza di questa ricerca di fonti e suggestioni, è che l’autore talvolta si abbandona alla tentazione narcisistica di una scrittura difficile per esprimere concetti in realtà non così complessi, e forse nemmeno così esatti:
_x000D__x000D_
Il Cinema di Visconti, lontano dall’essere “classico”, è caratterizzato da una continua collisione tra il movimento delle immagini ordinate sintagmaticamente e il loro essere percepite paradigmaticamente, strutturandosi in profondità attraverso stratificazioni di senso: la percezione del movimento cinematografico per momenti successivi, lineare, viene così perturbata dalla percezione circolare, più che simultanea, della singola immagine. Questo attraversamento del tempo in più direzioni, lineare e in profondità, conduce alla disgregazione. (78)
_x000D__x000D_
La cifra semiotico-strutturalista dell’indagine emerge violentemente, quasi a voler giustificare le proprie affermazioni ammantandole nella “esattezza” della teoria. A questo proposito, le obiezioni più ovvie sono determinate dal fatto che tale metodologia, nella disciplina degli studi cinematografici, è ormai datata, e una analisi che si proponga di essere innovativa – o semplicemente di aggiungere una voce non corale al dibattito sul cinema di Visconti – non può trascurare gli enormi progressi fatti dalla teoria negli ultimi trenta anni. Infatti, che Russo sia principalmente un musicologo emerge con chiarezza nell’ultimo e migliore capitolo del suo libretto, in cui analizza con competenza e un filo di didatticismo la presenza di Wagner, come personaggio e come compositore, nel tessuto narrativo e musicale del film. In questo caso l’analisi si fa fitta di dettagli, attenta, meticolosa, precisa e, se non avvincente nella scrittura, decisamente convincente nell’offerta dei dati, nell’interpretazione della enorme quantità di informazioni raccolte con accuratezza.
_x000D__x000D_
Nel complesso, L’Impossibile Idillio è consigliabile solo a due tipi di spettatori: a coloro che decidono di avvicinarsi a Ludwig per la prima volta – in quanto vi possono trovare immediate risposte alle curiosità riguardo alla sua genesi e al suo destino – e a coloro che desiderano conoscere in dettaglio le musiche utilizzate nel film e la loro funzione. Chi invece ha una maggiore familiarità con il cinema di Visconti e sperava che, nel centenario della sua nascita, il suo film sul triste sovrano divenisse finalmente oggetto di studi approfonditi basati sulle nuove teorie che sbocciano dalla ricerca più avanzata dovrà, purtroppo, aspettare ancora.