TRAMA
1959: il mago Tatischeff tenta la fortuna a Londra, ma il rock di “Billy Boy and the Britoons” gli ruba tutta la scena. Ottiene un ingaggio in un pub di un’isola scozzese, dove gli s’affeziona la piccola Alice e lo segue sino a Edimburgo.
RECENSIONI
La scena è la stessa, ma qualcosa è cambiato: Tatischeff vive il suo Luci della Ribalta, Chomet, rispetto a Appuntamento a Belleville, è meno farsesco, eccentrico, barocco e feroce, ma ripropone il suo meraviglioso, démodé cinema animato in bianco e nero (l’inizio), acquarelli e matita (parco il digitale), poeticamente ambientato in anni cinquanta da La Carica dei 101, con un’impagabile galleria di caricature douboutiane, omaggi al music hall e in quasi totale assenza di dialoghi (ci sono, borbottati, anche senza significato ma l’Italia non traduce dove dovrebbe: si perde quello in cui Tatischeff dice ad Alice “Non sono magico, sono un illusionista”). Anche Tati (alias Tatischeff) è un fil rouge fra le due opere, ma in questo caso s’impadronisce del film con la sua sceneggiatura inedita: la malinconia, la tenerezza, l’eleganza (mimica e di carattere), la comicità lunare e sentimentale, l’attonita, imperturbabile maschera di Monsieur Hulot di fronte alle diavolerie del moderno che avanza (effeminati rockettari compresi) rivivono in una dimensione parallela (di cartone, fuori dal Tempo) ben esemplificata nella geniale scena in cui Tatischeff incontra se stesso nel cinema in cui è proiettato (il suo) Mio Zio. Chomet fa Tati (anche nel modo di riprendere, privilegiando campi lunghi e medi) e fa suo Tati, fra variazioni rispetto allo script originale (il coniglio carnivoro, per altro spassosissimo, al posto della gallina; una Edimburgo che ben conosce al posto di Praga, ed è un tripudio di dettagli e fondali meravigliosi; il personaggio del clown) e l’adozione empatica della prima istanza che spinse un padre a raccontare, sulle ali della fantasia, il proprio rapporto con una figlia trascurata: da un lato il declino amaro di “mestieri” senza più appeal sulle masse, dall’altro la perdita dell’Innocenza con contestuale ridimensionamento della figura (magica) paterna. La Vita, la Storia fanno il loro corso e accantonano chi ha fatto il suo Tempo, è un dolore necessario: il messaggio finale nel biglietto lasciato ad Alice contiene questa grande Verità, e fa male.
