TRAMA
Nikolaï, un esperto interprete georgiano che viene spesso coinvolto in situazioni difficili, riceve una singolare richiesta da tre francesi appena giunti a Tbilisi. Dovrà far loro da guida nelle zone montuose del Caucaso, per aiutarli a rintracciare il paesino dove una del gruppo, Pat, ha da poco ereditato un castello in rovina. Lungo il tragitto non mancheranno certo le sorprese…
RECENSIONI
Un road movie nel Caucaso
Davvero una scomoda eredità. Ed il discorso non vale soltanto per Pat, la francesina che nel film risulta beneficiaria di quel singolare lascito, un fatiscente castello perso tra le montagne del Caucaso, per cui lei e altri due amici hanno pensato bene di muovere alla volta di un paese a loro sconosciuto, la Georgia. La difficile eredità è anche quella piovuta addosso a Gela Babluani, trovatosi ad amministrare il discreto successo internazionale di 13 – Tzameti, lungometraggio d’esordio invero assai promettente. Non solo! In questa occasione il ventottenne regista, nato in Georgia ma con domicilio (e una piccola casa di produzione già avviata, Les Films de la Strada) a Parigi, ha firmato la sua prima regia in condominio col padre, Temur, che nel ricco panorama di autori della repubblica caucasica vanta già una storia importante.
C’era quindi una certa curiosità per l’esito di questa loro collaborazione. L’Héritage non convince pienamente, riuscendo però a gettare una luce particolare, insolita, a tratti persino contraddittoria sui protagonisti e sul paese da loro attraversato. Forse si insiste troppo, nel corso di questo stralunato road movie, sugli incontri stravaganti, sulle situazioni al limite del surreale vissute dai passeggeri di una corriera che sembra quasi sbuffare, mentre si arrampica sui tornanti dell’entroterra caucasico. Eppure, nonostante una regia non sempre ispirata finisca per sacrificare qualche buono spunto, contrasti interessanti emergono dalla natura stessa dei personaggi. Tra costoro ci sono anche un giovane e un vecchio, saliti durante il viaggio, che si portano dietro un bagaglio piuttosto inquietante: la bara destinata a uno dei due! I tre francesi con al seguito Nikolaï, una smaliziata guida locale, scoprono così che la bara verrà usata molto presto, visto che uno dei compagni di viaggio è intenzionato a farsi ammazzare, per porre fine alla faida decennale tra due villaggi. Gli “ospiti” stranieri ne rimangono scossi, ma decidono ugualmente di filmare l’evento con la loro videocamera. Ecco, nonostante il film tenda ad enfatizzare, in modo anche crudo, la descrizione della realtà georgiana come una specie di far west in cui i conflitti hanno spesso una soluzione violenta, è nei confronti delle ipocrisie imputabili allo sguardo occidentale, che l’ironia si scatena. Nel raccontare l’esito della faida, la coppia di registi non risparmia notazioni satiriche sull’atteggiamento dei francesi, sempre pronti a condannare la barbarie, almeno a parole, ma tremendamente superficiali e inconcludenti quando si tratta di agire. In sostanza, si limitano a fare da spettatori, e quando provano a intervenire è pure peggio. Strana associazione di idee, ma durante la proiezione ci sono venuti in mente parecchi episodi più o meno recenti, con i caschi blu dell’ONU come protagonisti… Il passaggio continuo dalla tragedia alla farsa, del resto, viene sottolineato anche da un finale per molti enigmatico, per noi brillante e assolutamente in sintonia con lo spirito disincantato ed ironico di molti registi georgiani. Non fa certo eccezione la famiglia Babluani, rappresentata anche da George, che in entrambi i lungometraggi diretti dal fratello Gela figura tra gli interpreti.
Stefano Coccia