TRAMA
Metà del XIX secolo: una donna affetta da mutismo con figlia è data in sposa dal padre ad un uomo e lo raggiunge con il suo amato pianoforte. Un amico di quest’ultimo s’innamora in modo scellerato della sua musica.
RECENSIONI
Fra la compassata cultura vittoriana (la mente) e la natura selvaggia della Nuova Zelanda dei mahori (il corpo), la passione a nudo di Cime Tempestose e l’oscurità di Emily Dickinson, Jane Campion affronta un’altra figura femminile insolita: il suo film parte figurativamente conturbante, splendidamente fotografato (Stuart Dryburgh), recitato e musicato (Michael Nyman). Ad un certo punto, nonostante le evidenti intenzioni di deviare dai percorsi battuti, pare impaludarsi nell’opera in costume ed intimista, all’insegna di una vena romantica anche scontata: a sorpresa, invece, s’invola in elementi sempre più devianti, violenti, perversi e morbosi, prima purificati dall’afflato poetico dell’amour-fou, infine deturpati da una cupezza spietata. In questo senso, il crescendo del film è magistrale, implacabile nelle emozioni contrastanti che regala: la seconda parte inoltrata, infatti, ripaga anche di alcuni snodi narrativi fondamentali restituiti con poca incisività.