Drammatico, Recensione

L’ETÀ DELL’INNOCENZA

TRAMA

New York, 1870. Newland Archer s’invaghisce dalla cugina della sua futura moglie.

RECENSIONI

Scorsese calligrafico? Certamente sì. Fin dagli ineffabili titoli di testa, delirio floreale che sfocia nell'inamidato incanto di un Faust al Met, L'Età dell'Innocenza è lusinga visiva: gli interni sono sale di un museo in cui i personaggi si materializzano come per incanto (evocati dal sortilegio della voce over), gli esterni (la dimora della zia di May) sono dipinti di superbo artificio, le riunioni mondane e le cene in famiglia sono passeggiate in una galleria d'arte piena di manichini di cera immobilizzati nelle spire del cerimoniale e (più ancora) nelle rispettive maschere. Archer è perfettamente conscio di tutto questo (ama May in quanto 'riassume il meglio del loro mondo'), ma non lo percepisce come un problema finché non incontra Ellen, sintesi di tutto quello che una donna come si deve non deve essere e - incidentalmente - persona viva in un mondo di morti viventi. Il meccanismo perfetto s'inceppa, ma non è che un attimo: la cerimonia può riprendere e concludersi convenientemente, il corpo estraneo è esiliato con ferma gentilezza, il tempo ricomincia a (non) scorrere come prima, come sempre. Incubo al cianuro sotto uno strato di rosolio, L'Età è (come May) la sintesi ideale (e insuperata, causa la molesta modestia di quasi tutte le prove più recenti) del cinema di Scorsese: somma padronanza della macchina da presa, divina beltà dei contribuiti tecnici, scrittura minuziosa, recitazione soffocata e incandescente. E noi siamo felici di esserne prigionieri.