TRAMA
Francia, 1815. Jean Valjean, dopo 19 anni trascorsi ai lavori forzati per aver rubato un pezzo di pane, torna libero sulla parola. Ma per un ex galeotto tutte le porte sono chiuse, per questo Valjean viola la libertà condizionata, assume una nuova identità ed intraprende un’esistenza rispettabile. Divenuto lo stimato proprietario di una fabbrica e sindaco di una piccola cittadina, conosce Fantine, una sfortunata ragazza madre che muore precocemente lasciando una figlia piccola alle sue cure. Valjean decide allora di farle da padre e dedicarsi interamente a lei._x000D_
RECENSIONI
La fortuna del musical sul grande schermo è stata in questi anni Duemila quanto meno altalenante.
Accanto a grandi successi come Chicago, Moulin Rouge!, Mamma mia!, premiati da pubblico e critica, ed al fenomeno preadolescenziale High School Musical, risuona ancora il tonfo di fiaschi come Dreamgirls, The Producers, Rent, Burlesque, Nine, il remake di Footloose.
Gli esiti più controversi di produzioni come il più recente Il fantasma dell'Opera, Sweeney Todd di Tim Burton e Rock of ages testimoniano approcci eterogenei e creatività, ma al tempo stesso ricordano che si tratta di un genere quanto mai difficile seppur dalle straordinarie potenzialità di presa emotiva.
Les miserables ha però una storia a parte. Tratto dal capolavoro di Victor Hugo del 1862, il musical è stato scritto da Claude-Michel Schonberg e Alan Boubil e rappresentato per la prima volta in Francia nel 1980, ma è solo con l'edizione inglese del 1985, significativamente rivista, che ha raggiunto uno straordinario successo. Da allora è stato messo in scena in una quarantina di paesi e tradotto in 21 lingue con consensi unanimi.
Nel corso degli anni numerosissime erano state le trasposizioni televisive e cinematografiche del romanzo. In tv si ricordano la versione italiana del 1964 di Sandro Bolchi e quella del 2000 con Gerard Depardieu e John Malkovich. Al cinema la più nota è forse quella del 1958 con Jean Gabin, una versione di Claude Lelouche è del 1995, una all stars di Billy August con Liam Neeson del 1998. Niente di pienamente soddisfacente, né, soprattutto, di paragonabile all'opera d'origine.
Questa è la prima trasposizione cinematografica del musical, dopo una serie di progetti abortiti. Alla regia Tom Hooper, ancora fresco di allori per Il discorso del re, che ha ormai preso la via del grande cinema dopo un lungo passato televisivo in patria, con una predilezione per i period drama. La strada è quella del kolossal, nel tentativo di non tradire i tanti appassionati dello show teatrale.
Fin dai primi minuti appare evidente che il musical riesce a supplire all'impressione di inevitabile frettolosità (quando non superficialità) che era la maggiore debolezza delle altre versioni cinematografiche grazie al potere emotivo e di sintesi della musica. Hooper sceglie di ottenere il massimo pathos utilizzando in abbondanza la steadycam e puntando molto sui primi piani degli attori che cantano (è un musical interamente cantato ma non ballato), con lunghi piani sequenza. Con lo stesso obiettivo il regista ha chiesto a tutti gli attori di cantare in presa diretta, diversamente da quel che avviene normalmente nelle pellicole musicali, per rendere le interpretazioni dei brani una parte integrante della recitazione. Ogni interprete esibendosi dal vivo era accompagnato da un pianoforte anch'esso live ed aveva così la possibilità di modulare i tempi dell'esecuzione, la voce, il pianto, per raggiungere la massima insensità. La scelta vincente di Hooper, che voleva attori, non semplici cantanti, appare evidente a chiunque abbia avuto l'occasione di vedere il musical originario, anche solo in dvd: tutte le esibizioni del film sono meno impeccabili dal punto di vista vocale, ma molto più vibranti. Veri e propri assoli che riassumono in pochi minuti la natura e lo stato d'animo di ciascun personaggio con totale efficacia.
Ne sono un buon esempio i due momenti cruciali dell'esistenza del protagonista che vengono evidenziati dalla versione musicale di un esaustivo monologo interiore. Il primo è l'incontro con il vescovo che salvandolo contrae un credito simbolico e al tempo stesso riscatta la sua anima, offrendogli la possibilità di diventare un uomo migliore (i due candelabri, ricordo di questo patto interiore, torneranno per tutto il film). Il secondo è l'assunzione di responsabilità verso un altro essere umano, Cosette, che dà improvviso senso e pienezza alla sua vita: quella che Tolstoj avrebbe chiamato la "resurrezione" dell'uomo. Per sottolineare questo passaggio il regista ha voluto inserire l'unica canzone inedita rispetto al musical del 1985, Suddenly. In entrambe le scene è fondamentale la convincente intensità del motivatissimo Hugh Jackman (su cui Hooper ha deciso fin dall'inizio di costruire il film), qui probabilmente nell'interpretazione della vita e forte di una lunga esperienza teatrale e, nello specifico, musicale. L'attore australiano riesce persino a far dimenticare di essere troppo giovane per la parte e, diversamente dalle aspettative, quel che colpisce maggiormente non è la voce - non eccezionale - quanto la recitazione vera e propria durante il canto.
La struttura di Les miserables, dunque, ottimizza i passaggi narrativi e la resa emotiva. Le lunghe pagine impiegate da Hugo per sviluppare l'avventura e delineare i personaggi qui non lasciano rimpianto, o insoddisfazione, come accadeva invece guardando le precedenti versioni cinematografiche.
Il romanzo poteva contare su molti momenti di suspense ben calibrata - si pensi alle varie fughe rocambolesche di Valjean, ma anche al lungo snodo carico di tensione che porta al recupero della piccola Cosette -, qui smorzati senza troppo danno: il coinvolgimento e la presa sul pubblico sono garantite dall'esaltazione dei sentimenti, tanto spudorata quanto efficace.
Le scelte di sceneggiatura (che la pellicola, ovviamente, eredita dal musical del 1985), obbligata sintesi dell'opera fiume di Hugo, appaiono quasi sempre funzionali. Rispetto al romanzo, il musical dà maggiore spazio e risalto alle vicende rivoluzionarie (i moti del 1832 contro la monarchia), che ben si prestano a rafforzare la linea tematica del riscatto dall'ingiustizia e dalla sopraffazione. Allo stesso modo, la maggior parte degli altri tagli non sembra indebolire la potenza della storia: l'opportuna soppressione del millantato salvataggio del padre di Marius da parte di Thenardier con i debiti morali che ne conseguono, ma anche lo sventato agguato ai danni di Valjean proprio da parte dei balordi capeggiati dallo stesso Thenardier.
Il ripugnante Thenardier e la sua degna consorte divengono nella versione musical personaggi grotteschi (da qui la scelta di Sacha Baron Cohen) i cui ruoli risultano ridimensionati, ma sintetizzati perfettamente dal loro unico, grandissimo, numero musicale. Sembra di poter dire che il loro spazio viene sacrificato perché si tratta delle uniche figure senz'anima della storia, puri ostacoli materiali per i veri protagonisti. Non a caso, rispetto al romanzo, li sovrasta in modo evidente il personaggio della figlia Eponine, figura tragicamente patetica che ben si presta a dar voce sia alla categoria dei miserabili sia ai grandi sentimenti (per i suoi struggenti assoli Hooper ha scelto l'unica vera cantante del cast, Samantha Barks).
Nessun tradimento sostanziale dunque, dal momento che a dominare la scena è il gigantesco Jean Valjean come primo rappresentante dei tanti miserabili a cui la sorte ha negato al momento della nascita il diritto ad una vita libera e degna di questo nome. E con il protagonista sono sempre in primo piano la difficoltà e la sfida di riconquistare quella libertà di scelta soffocata dalle circostanze, di riconquistare dignità ed umanità. Da qui, il giusto risalto viene dato alla contrapposizione tra l'ex galeotto Jean Valjean ed il gendarme Javert, un lungo duello sbilanciato in quanto assolutamente unilaterale, essendo solo di Javert l'ossessione per l'uomo sfuggito alla sua idea implacabile e ottusa di giustizia, la sua incolpevole Moby Dick. Il gendarme incarna una delle anime negative della vicenda perché nega tutto ciò su cui essa si fonda: la possibilità di redenzione e riabilitazione per l'individuo ("Chi ruba una volta ruba per sempre"), il ruolo delle circostanze nel determinare il destino degli uomini, indipendentemente dalle loro inclinazioni. Valjean risorge mille volte dalle difficoltà trovando un se stesso migliore nonostante la sorte avversa, Javert rifiuta per principio ogni seconda chance, nel rispetto di una legge svuotata di senso e nell'ossequio ad una religione altrettanto cieca alla carità che dovrebbe esserne il fondamento. Coerentemente, Valjean se ne va dando l'ultima prova del suo altruismo, Javert rifiutando di vivere in contrasto con le sue certezze e di metterle in discussione.
Ma non è solo per spessore del personaggio che Jackman sovrasta Crowe: quest'ultimo soffre l'impostazione operistica dei brani di questo musical e risulta non solo il meno convincente, come cantante, del cast, ma anche meno carismatico del previsto.
Il cast e la sua forza interpretativa rappresentano per il resto uno dei grandi punti di forza del film. Oltre alla splendida prova del protagonista si segnalano i minuti indimenticabili di Anne Hathaway-Fantine, uno dei personaggi più drammatici della storia della letteratura popolare espresso nell'interpretazione perfetta del brano più celebre de Les miserables, I dreamed a dream. Per dare credibilità alla propria caduta la Hathaway ha accettato i più classici sacrifici attoriali: ha perso 11 chili e si è fatta davvero tagliare i lunghi capelli (si auspica che ciò aiuti, da tradizione, al conseguimento di un meritato Oscar). Accanto ai comprimari di lusso, tra cui spiccano Helena Bonham Carter e Sacha Baron Cohen, si rivelano all'altezza, anche vocale, della situazione, i due giovani innamorati della storia. L'inglese Eddie Redmayne, già notato nell'ultima versione televisiva di Tess d'Ubervilles e ne I pilastri della Terra, e al cinema nel recente Marylin, è un convincente e preparato Marius, eternamente candido ed adolescenziale. Amanda Seyfried conferma il talento musical dopo Mamma mia! che l'aveva rivelata.
Anche sul piano dei risultati il bilancio è tutto in positivo: 8 nomination agli Oscar - comprese quelle meritatissime per scenografie e costumi ricostruiti con cura certosina - dopo il successo ai Golden Globes come miglior commedia/musical, miglior attore (Jackman) e migliore attrice non protagonista (Hathaway); ottimi incassi - proprio l'Italia sta facendo eccezione - e amore del pubblico.
Sul piano critico il punto problematico consiste allora nel rischio di patetismo e scarsa problematicità, figli del materiale d'origine, l'opera di Hugo che, pur essendo stata pubblicata ai tempi solo in due parti, ha la struttura del romanzo d'appendice, nel bene e nel male. Come il contenuto del romanzo, il musical Les miserables può essere considerato ricattatorio e in numerose circostanze inverosimile. A giudizio di chi scrive a risolvere la questione è lo stesso criterio adottato per questo genere di letteratura, e per Charles Dickens su tutti: la maestria con cui la materia viene trasmessa al pubblico ne riscatta le teoriche debolezze.
Vale più che mai per questo film: le due ore e mezza di grande spettacolo volano letteralmente, la partecipazione è viva, la commozione è autentica.
Il padre nobile di unarte populista
Nel trattamento del fluviale capolavoro di Hugo, Claude-Michel Schönberg e Alain Boublil avevano optato nel1980 per una drastica semplificazione delle sue molteplici coordinate; sostanzialmente confermata dalla revisione del libretto del musical condotta, cinque anni più tardi, da Herbert Kretzmer in vista delledizione in lingua inglese.
Il testo letterario è dominato da una complessa prospettiva etica, dischiusa dal groviglio di vicende che fatalmente legano Javert a Jean Valjean: il persecutore in nome della legge, ossessionato dalla necessità di un ordine metafisico, quindi morale e infine esistenziale; e il perseguitato dalla superiore moralità al di fuori della legge. Una moralità anarchica e di incandescente impronta evangelica, a sua volta instillata nellanimo di Valjean dallesempio del vescovo Myriel (alla descrizione della cui sublime figura Hugo dedica la prima delle quarantotto parti che compongono il romanzo, quasi a imprimervi un inconfondibile leitmotiv). Labisso in alto, che Javert scorge e al quale non sa consegnarsi, è il traguardo raggiunto tra innumerevoli prove e tentazioni da Valjean nelle sue rocambolesche, improbabili e tormentate reincarnazioni: Madeleine prima, il misterioso viandante poi, Fauchelevent infine. Assicurare la felicità di Cosette è il suo riscatto dalla colpa commessa verso Fantine, antonomasia e simbolo di tutte le colpe, ma neppure lultima e apparentemente più semplice tappa di questo excursus potrà dirsi conciliante o serena; resta per sempre lanimo di Valjean, più ancora di quello di Javert, un groviglio di spinte contraddittorie tra le quali a ogni passo deve operare drammatiche scelte.
Il turgore romantico di siffatti personaggi e vicende viene a innestarsi, come una serie di insistiti primi piani all’interno di vaste scene d’insieme, in un universo densamente popolato da una variopinta umanità e descritto non solo con la nostalgia dell’esule, ma soprattutto col preciso intento di realizzare un’epopea sociale: città, sobborghi, campagne, chiusi paeselli aggrappati alle Alpi, bagni penali, tribunali, fabbriche, chiese, ricche dimore, sordidi bassifondi, misere osterie, grigi ispettorati; aristocratici e borghesi e popolani, alto e basso clero, contadini e cittadini, criminali e poliziotti, prostitute e sfruttatori, operaie e sorveglianti; una gioventù intellettuale inquieta, ancora intrisa di quegli ideali rivoluzionari ormai rinnegati dai padri in favore delle rassicurazioni governative sulla certezza delle proprie rendite; il perbenismo farisaico, l’ansia di giustizia e le ingenue civetterie sentimentali della società minuta; l’ingegno innovatore degli spiriti audaci.
Tante canzoni per nulla
Di tutto questo, assai poco resta nel musical.
Un problema di tempi, innanzitutto. La necessità di spiegare al pubblico quanto nel romanzo era affidato alle digressioni o agli interventi chiarificatori del narratore, conduce a impiegare numerose battute per illustrare i fatti pregressi anziché evidenziare i nodi psicologici ed emotivi che avvincono i personaggi.
Il sostanziale azzeramento della dimensione etica è evidenziato dal modo in cui i due antagonisti vengono impiccioliti: la contorta, inquietante ossessione di Javert scolora in bruta e sciocca aggressività persecutoria; il tormento di Valjean si risolve da subito in un culmine drammatico, per poi esaurire il personaggio in un eroico e munifico benefattore. Spazio preponderante è per contro riservato alla storia fra Marius e Cosette e allamore infelice di Éponine per Marius. I toni sono da romanzo rosa, quel tipo di letteratura contro il quale Hugo lancia i suoi sarcastici strali proprio dalle pagine dei Miserabili [1], intendendo contrapporvi la forza espressiva e lintento pedagogico del suo romanzo epico-sociale.
La Storia, a cui Hugo dedica ampie digressioni fino a racchiudere significativamente la vicenda tra Waterloo e la rivolta delle barricate contro Luigi Filippo, è assente: la miseria, il degrado, le ingiustizie, la rivolta del 1832 sono sospesi nel vuoto, puri scenari nei quali muovere le pedine del feuilleton. Che la chiave della trasposizione sia stata questa viene confermato dal trattamento esemplare di alcune figure decisive: dalle sue poche battute, il vescovo Myriel appare un bizzarro vecchietto, forse un po’ rintronato; Gavroche è soltanto un simpatico scugnizzo.
Una questione di denti
Il film mette in scena il musical, e non può certo inserire nel suo testo quanto vi manca; ad esempio, lepisodio di Hougomont (uno dei vertici dellarte di Hugo) rimane dolorosamente assente, al pari delle tumultuose schermaglie della società intellettuale parigina ansiosa di cambiamento. Né Hooper può conferire ai personaggi maggior spessore di quello dato loro dai versi; nella rappresentazione scenica, tuttavia, molto potrebbe esser fatto per dare loro nuova linfa. Lautore ne è consapevole, procedendo tuttavia a intermittenza in questa direzione.
I due protagonisti vengono lasciati ed è perdita grave alle dimensioni minime di un testardo aguzzino affetto da megalomania e di un supereroe geloso della figlia; né le performance attoriali aiutano, Russell Crowe esibendo tutto un campionario di occhiacci ed espressioni esageratamente torve, laddove Hugh Jackman si agita allimpazzata e strilla a più non posso dallinizio alla fine; Myriel resta una pallida figura che quasi si scusa di esistere; Éponine, Marius e Cosette esprimono i loro banali concetti con espressioni rapite o imbambolate, perfetti eroi da fotoromanzo, zavorrando gravemente la seconda parte del film.
In altri casi, lintervento ortopedico del regista sortisce notevoli risultati. Sfruttando le potenzialità rappresentative del codice, Hooper inocula nello scheletro narrativo cospicue dosi di realismo e di fantasia evocativa.
Le scene dinsieme, innanzitutto. Qui il mezzo cinematografico consente di ricreare i grandi affreschi del romanzo: il bagno penale, i bassifondi, le barricate, il brulichio immondo della città. La metropoli come realtà alienante e paurosa è la grande scoperta di autori come Manzoni, Dickens, Balzac, Hugo; il film rende assai efficacemente la città tentacolare rappresentata dalla penna dello scrittore, con gli scarti improvvisi della ripresa che ne traducono perfettamente in immagini il periodare asciutto, martellato, ricco di contrasti.
Altrove prevale il gusto delloleografia popolare, pure generosamente presente nel romanzo; ma corretta da notazioni stilistiche che ne attenuano e quasi occultano il ricatto emotivo. La presentazione della fanciullesca innocenza offesa di Cosette, ad esempio, ha i toni vaghi e misteriosi duna fiaba nordica. Accenti più marcatamente patetici accompagnano la tragica vicenda di Fantine; ma il crescendo implacabile delle scene saldate luna allaltra senza soluzione di continuità temporale, come se fossero tutte concentrate nella stessa tremenda notte, impedisce allo spettatore di piangersi addosso; e linvolo lirico della protagonista, ottimamente resa da Anne Hathaway, possiede un alito di impotente e disperata aggressività che frena la compassione autocompiaciuta dello sguardo. Hooper non ha il coraggio di seguire in modo più radicale questa strada, tuttavia. I particolari tradiscono; alla povera ragazza sono stati estirpati gli incisivi superiori, ma Fantine canta con perfetta dentatura (e con effetto di perfido anticlimax). Cinquantanni fa, lo sceneggiato RAI aveva dato prova di maggior coerenza espressiva.
In altre sequenze, il regista adotta una strategia brechtiana dello straniamento che, se conduce assai lontano dalle scelte espressive del romanzo, recupera quell’efficacia rappresentativa che il testo del musical aveva smarrito. Si pensi al coro delle prostitute, che si affaccia a chiosare in tempo reale – per così dire – la discesa all’inferno di Fantine; si pensi soprattutto ai Thénardier. Di essi, Hugo offre un rapido e indimenticabile ritratto, in cui l’amore per i personaggi del gran teatro del mondo si unisce all’acuta analisi sociologica.
Nel musical, sono figure dal profilo fortemente virato al grottesco: ma leffetto (indotto anche dal tormentone delloste che continuamente dimentica il nome della bambina chiamandola Colette, con la moglie che comicamente lo riprende) appare incongruo in quanto riduce i personaggi a innocue ridicole macchiette, mentre dovrebbero costituire una sorta di motore immobile del dramma. Nel film, anziché attenuare il grottesco Hooper decide di portarlo allestremo (labbigliamento, i gesti, linclinazione alla recita perpetua), trasformando i due in creature di mostruosa singolarità; in tal modo, essi non appaiono più solo e banalmente divertenti, ma perturbanti.
Infine, il personaggio di Gavroche. Lutopismo cristiano e lidealismo romantico non permettevano certo a Hugo di comprendere le forze reali che guidano le dinamiche sociali. Eppure, i termini polemici della sua arte sono evidenti: il romanzo non conosce esitazioni tra mondo dei diseredati vittime della società della Restaurazione e del suo violento ritorno allordine e allimmobilismo politico e quello degli oppressori, identificato nellaristocrazia corrotta e nella borghesia padronale del primo Ottocento; la liberté promessa dalla Costituzione del 1830 era solo una favola [1], da rinnegare non appena fosse divenuta concretamente pericolosa per gli interessi dominanti.
Diseredati contro padroni, dunque. Leroe del Lumpenproletariat, ultimo ma non ultimo dei grandi protagonisti del romanzo, è Gavroche: il bambino che sfida i grandi e il destino, le autorità costituite e le pallottole, con la certezza di sconfiggere le une e schivare le altre; la stessa adamantina certezza da lui nutrita sul moto inarrestabile della libertà, che non potrà essere fermato da nessun altolà, da nessun fucile, da nessun re.
Al destino di Gavroche il film riserva la sua più attonita, austera sequenza, prima di ripiombare gli spettatori nella catastrofe della rivolta.