Mockumentary, Sala

L’ERA LEGALE

TRAMA

Napoli 2020, il sindaco Nicolino Amore ha sconfitto la camorra con un provvedimento controverso: la legalizzazione delle droghe leggere. Ma chi è veramente?

RECENSIONI


Mockumentary all’italiana, quello di Enrico Caria, che ipotizza un “miracolo napoletano” confondendo i piani del racconto: nell’inchiesta sul sindaco Amore, infatti, voci di personaggi veri (De Cataldo, Lucarelli, Marcelle Padovani) si alternano a figure di fantasia con la dote della plausibilità. E la vicenda di Amore si innesta nella cronologia reale dei fatti italiani, subito dopo gli anni della compravendita parlamentare e della monnezza; tutto questo partecipa a creare un’atmosfera di paradossale verosimiglianza, un “surreale ma non troppo” che allontana L’era legale dal campo dell’impossibile e lo porta vicino a noi, tra poco, domani. E’ una parabola: attraverso il concerto di voci che lo raccontano (cameo di Isabella Rossellini), il regista rende il protagonista paradigma dei vizi italici, dalle sirene dei salotti buoni alla continua tentazione del compromesso. Amore (Patrizio Rispo) compie un’incursione limitata nel mondo dei ricchi poi, tornato nel suo ambiente naturale, inizia a preparare il cambiamento: si presenta esteticamente come “anti-sindaco” (jeans, occhiali neri, barba incolta), va nei quartieri bassi, sfida la camorra. Intorno a lui si radunano i tratti archetipi della napoletanità: con una solare tendenza simbolica (pizza, droga, pistole) i vari elementi vengono adottati, masticati e riposizionati nel finto documentario, che dunque propone situazioni possibili che sembrano vere (la guerra di mafia, l’espansione delle discariche). Un mondo solo leggermente diverso dal nostro in cui, inevitabile, prevale l’aspetto mediatico: non a caso il sindaco outsider emerge quando conquista le telecamere televisive, pensando direttamente a chi guarda; anche a livello catodico forte è l’assonanza tra 2011 e 2020, stesse le vuote trasmissioni politiche, Youtube e addirittura una meta-puntata de Le Iene (ricostruita dall’ex regista Caria che “parodizza” il suo programma).


Nella prima parte, la polifonia delle testimonianze offerte solleva il dubbio sul conto del sindaco (che sia un volgare populista?); nella seconda, incredibilmente, sono tutti d’accordo nell’elogio di Amore: Napoli è cambiata, la criminalità sconfitta. La legalizzazione delle droghe leggere, che ha sottratto terreno al narcotraffico, è stato il passo decisivo per la “liberazione”. Dall’individualismo alla collettività, dal crimine alla legalità, dai rifiuti alla raccolta differenziata: archiviati questi passaggi il sindaco ha esaurito il suo ruolo quindi scompare, ma deve ancora affrontare la prova più difficile. La sequenza finale di Amore, che sconfigge l’eruzione del Vesuvio, svela totalmente le ragioni della pellicola: un piccolo film utopia, provocatorio fino all’assurdo (Amore vince la Natura), un’ipotesi favorevole a proposito di Napoli (e per metonimia dell’Italia) che comprende le situazioni più dolenti, le superstizioni miracolistiche e popolari: il sindaco taumaturgo guarisce anche il vulcano. Enrico Caria firma un tentativo tenero e perdente, esplicito come Amore che porge il petto ai camorristi, con poche gocce di scorrettezza (la scena sadomaso sui titoli di coda) e una precisa concezione di fondo: l’esperimento non è visivo ma tematico, l’unica vera provocazione è il lieto fine.