Drammatico, Recensione

L’ENFER

Titolo OriginaleL'Enfer
NazioneFrancia/Italia/Belgio/Giappone
Anno Produzione2005
Durata98'
Tratto dadalla trilogia Il Paradiso, l’inferno, il purgatorio di Krzysztof Kieslowski e Krzysztof Piesiewicz
Scenografia

TRAMA

Tre sorelle, che hanno perso i contatti negli anni, alle prese con la tragedia che ha segnato la loro infanzia.

RECENSIONI

Rifare Kieslowski, portare a compimento l’incompiuta trilogia (Inferno, Purgatorio, Paradiso) è ormai un filone: dopo il disastroso Heaven di Tom Tykwer, il capitolo infernale passa nelle mani di Tanovic, che avevamo lasciato in trincea nell’irrisolto No Man’s Land - un film tarato dall’aggettivo “necessario” - e che qui ritroviamo a dimenarsi nella classica coproduzione. Relegando altrui il dilemma etico sull’omaggio/oltraggio al grande regista polacco, L’Enfer non suona comunque le corde del cuore, subito scegliendo il limbo tra la citazione al referente (il pianosequenza iniziale, modellato sui piedi della bambina) e il medio registro televisivo pesantemente simbolico (una pianta sfiorisce come il matrimonio di Sophie) quando non sconfortante (le liti coniugali, roba molto italiana) o semplicemente gratuito (la trascurabile macchietta di Rochefort). Nelle mani del bosniaco la tripla storia femminile, saldandosi solo nel finale, è un compito corretto non privo di mestiere, intavolato in un complesso rimando di sguardi e pianisequenza, ma che non aggiunge l’ispirazione al pacchetto, azzerando ogni sfumatura e risultando assolutamente leggibile nelle singole suggestioni - l’appello al Mito è risibile per la sciattezza narrativa con cui viene seminato (Sophie è Medea quindi Anne discute un esame su Medea) - dato che il drammone risulta di prammatica e sbaglia gravemente il disegno delle rozze sfumature sui volti dei suoi personaggi. Il dolore felpato di Marie Gillain primeggia in un cast suicida, dove la Béart soffe una dialogistica ridicola e Carole Bouquet è offensivo contorno. Non basta altresì lanciare al maestro un richiamo ideologico - oggi non è lecito parlare di tragedia ma semplicemente di dramma, spiega Sophie, perché la nostra società ha smarrito il sapore del divino - per rendere la materia intrinsecamente interessante. Un film che conferma Tanovic animale da cinepresa (su tutto, la vertiginosa astrazione dei titoli di testa/coda) ma allunga un’ombra inquietante sul suo futuro artistico, quella della pettinata e ingombrante maniera. Dopo il paradiso, un inferno che uccide il desiderio di qualunque purgatorio.