Fantasy

LEMONY SNICKET

Titolo OriginaleLemony Snicket's A series of unfortunate events
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2004
Genere
Durata113'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo Un infausto inizio di David Handler
Scenografia

TRAMA

I tre giovani Baudelaire restano orfani dopo un misterioso incendio che uccide i loro genitori. Vengono affidati ad un tutore/attore malvagio che punta solo al loro patrimonio.

RECENSIONI

Tratto dal romanzo Un infausto inizio di David Handler, primo tassello di Lemony Snicket (serie culto che in America ha affiancato Harry Potter di JK Rowling nella classifica delle vendite), Brad Silberling torna alla fiaba per grandi e piccini (CASPER) dopo la parentesi drammatica di MOONLIGHT MILE. Il film è volutamente impastato con ingredienti dal sapore gotico: dalla splendide musiche di Thomas Newman (quello della sigla di SIX UNDER FEET) fino alle oscure scenografie di Rich Heinricks (SLEEPY HOLLOW), passando per il consueto laboratorio di effetti speciali targato Industrial Light & Magic. Ma proprio questo suo puntare sulla 'goticità' del progetto, abbandonandosi ad essa quasi a corpo morto, costituisce presto un limite per LEMONY: il narrato è spesso accattivante ma fine a sé stesso, più affannato nel ritagliarsi la propria etichetta che badare alla sostanza (ogni dimora è puntualmente crepuscolare, ogni stravaganza punta sul grottesco). Tutto sommato una catena di trovate (legate soprattutto alle strane qualità degli orfani) azzecca l'accento scanzonato che si vorrebbe dominante, salvo poi operare una repentina inversione per abbandonarsi ad infausti ammiccamenti popolari (le parentesi smielate di amore fraterno, che si rivelano micidiali in almeno due passaggi); se il tono sospeso da fiaba nera è comunque mantenuto per l'intera durata con discreta gratificazione per l'occhio, viene purtroppo infestato al suo interno da improvvisi capitomboli di stile. Su tutti: l'uso strumentale di cui Jim Carrey è vittima e carnefice. Chiamato ad incarnare il ruolo di supercattivo (e relativi travestimenti...) l'attore, ormai consacrato ai massimi livelli del cinema contemporaneo (Weir, Gondry), opera un frustante ritorno alle origini modulato su smorfie sguaiate ed impudica plastica facciale; dai tempi di ACE VENTURA il Carrey (s)b(r)uffone mi pare abbia esaurito le frecce al suo arco e tale esibizione, non trovando spiegazione logica, è da leggersi esclusivamente come una mossa commerciale volta a rivitalizzare un villain altrimenti inesistente. Meryl Streep è tutta un'altra storia: di nuovo superiore al copione che accetta, tratteggia una zia Josephine paranoico-compulsiva rischiarata dal consueto carisma scenico. I tre pargoli si disimpegnano con disinvoltura, imbrigliati talvolta in soluzioni già viste (l'alfabeto dei mugugni è cosa vecchia sin dal bastardissimo SOUTH PARK) ma in realtà unica impalcatura narrativa possibile. Una spassosa curiosità: la piccola Sunny Baudelaire è interpretata da due attrici diverse, le sorelle gemelle Kara e Shelby Hoffman che si danno il cambio nel corso della pellicola.
Mentre la successione di sfortunati eventi porterà lo spettatore ad una gradevole seconda lettura supernatural della pellicola, lo sbadatissimo finale spalanca le porte al prossimo episodio; possibile che ogni storia, di questi tempi, debba essere sfigurata dal to be continued? In ogni caso con questo film si assesta un sonoro pestone nel sedere di Harry Potter, con cui Silberling si è dilettato a giocare d'antitesi, più divertito che divertente, più ammiccante che problematico. Più studiatamente grotesque che realmente riuscito.
Il momento migliore di LEMONY - non c'è partita - sono gli straordinari titoli di coda (una lunga, irriverente, leziosa, suadente folgorazione), spesso rovinati dalla sfortuna di vivere in un Paese incivile; le luci in sala si accendono prima della fine effettiva del film, solleticando nello spettatore quell'istigazione alla violenza di cui tanto si ciancia a sproposito.

Primo e, nelle intenzioni, non ultimo adattamento di una fortunata collana per ragazzi firmata da Lemony Snicket, pseudonimo di Daniel Handler, autore che si rifà evidentemente a Roald Dahl e ai fratelli Grimm. La sceneggiatura ne compendia le prime tre uscite in un condensato che, probabilmente, toglie respiro, atmosfera e importanza ai dettagli. Dirige lo specialista di fantasy Brad Silberling che, ancora, affronta il tema della morte e, ancora, si affida una colonna sonora inusitata e suadente (Thomas Newman): al timone sarebbe stato perfetto Tim Burton, ma la produzione ha preferito l’autore del simile Casper, fra effetti speciali, favola nera, sentimenti e infanzia vessata. Opera di cui Silberling replica anche i difetti: una paradossale banalità di approccio al servizio di una materia anticonvenzionale. L’impianto figurativo è straordinario, fra scenografie gotiche ed effetti fotografici, Dickens e Jean-Pierre Jeunet: in esso coesistono carrozze, telegrafi e telecomandi. A mancare sono le invenzioni drammaturgiche, nel tentativo di mescolare il buonismo della Disney agli umori di La Famiglia Addams: non a caso, è produttore esecutivo l’autore di quest’ultimo, Barry Sonnenfeld, regista designato e scartato dai finanziatori che si rifarà anni dopo, guidando un fortunato serial televisivo omonimo. Silberling, infine, non aderisce fino in fondo allo humor nero originale e non riesce a dare forma ad un universo meraviglioso che finisce solo col citare.