Recensione, Thriller

LE VERITÀ NASCOSTE

Titolo OriginaleWhat lies beneath
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2000
Genere
Durata129'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Claire ha tutto: una figlia già grande, un marito splendido, una bellissima casa sul lago. Ma la donna non è tranquilla: sente voci misteriose e avverte una presenza spettrale. Sta diventando pazza o…?

RECENSIONI

Zemeckis vince la scommessa di un film hitchcockiano e, mescolando alcuni topoi del Maestro, lo costruisce citazionista ma non pedante, affidandosi al buon vecchio catalogo del thrilling classico: porte che si aprono, oggetti che cadono, ombre, riflessi, voci confuse, luci che si spengono, apparizioni piu' o meno telefonate. Il film, all'inizio, punta tutto sulle atmosfere e, intelligentemente, da' l'impressione di prendere una direzione anche se, lentamente ma inesorabilmente, vira verso tutt'altra meta. Mantenendo un equilibrio ambiguo tra giallo e horror, il regista si muove bene su questa sottilissima linea creando, soprattutto nella prima parte, una sottile tensione costruita su figure tipiche, luoghi esemplari, contesti collaudati, da tempo non usati cosi' sapientemente. L'intento di un'opera per standard e' scoperto, lampante anche per il pubblico meno scafato, ma non toglie nulla all'agile dipanarsi della storia, donandole, anzi, un delizioso e leggero sottotesto cinephile. Enumerare i molteplici riferimenti che vengono disseminati ad arte nell'opera e' ozioso; utile e' soprattutto sottolinearne l'uso fondamentalmente ortodosso che ne fa il regista: non li manipola, non li stravolge, non li rovescia; li usa correttamente e quasi pedissequamente senza peraltro risultare pesante ma, al contrario, efficace e discretamente ironico. Sul fronte interpretativo a una Pfeiffer debitamente schizzata fa contrasto il solito, ligneo Ford. Zemeckis, che si concede da parte sua piu' di qualche acrobazia e diverse ricercatissime inquadrature, azzarda anche il classico finale multiplo la cui ultima contrazione, eccessiva e un po' cafona, non dispiacerebbe a un DePalma. E nella conclusiva, convulsa azione i violini hermanniani suonano come un suggello, l'ultimo dichiarato omaggio al re del brivido.

Una confezione di gran classe, una grande cura per i particolari e un notevole dispendio di mezzi, una ambientazione bellissima ed affascinante. Una coppia di attori nati per recitare insieme, perfetti per la parte, fascinosi ma comuni quanto basta, decisamente bravi ad entrare nei personaggi: impeccabili ed invitanti come pochi altri per qualunque spettatore. Una storia che si presenta estremamente intrigante, ed un regista più che deciso a non fan annoiare mai il suo pubblico. Queste sono le potenzialità, ed in parte i pregi del film. Si parte quindi pieni di speranze, ma ci si accorge presto che Zemeckis ha pessime intenzioni: inizia citando ossessivamente, ai limiti del plagio, La finestra sul cortile, per creare, secondo lui, un collegamento obbligato con Hitchcock (le citazioni continueranno per tutto il film, in particolare da Psyco e Il sospetto). Finita la lunga "citazione" la storia viene abbandonata quasi completamente per spostarsi su un altro piano. Nel frattempo ci si è resi conto che il regista, forse per sopperire all'avvio lento, cerca effetti e colpi di scena dove non ce ne sono, e ritiene che sia sufficiente utilizzare il sonoro, un rapido stacco, ed un'inquadratura ravvicinata. Per tutta la pellicola la ricerca dell'effetto prosegue nel modo più spudorato, ricorrendo ai giochetti più scontati e prevedibili. La storia, da parte sua, risulta ben presto estremamente intuibile (soprattutto per chi ha avuto la sfortuna di vedere i trailers), tanto che, evento dopo evento, è facile ed inevitabile indovinare ogni sviluppo e restare senza alcuna sorpresa. Un inconveniente piuttosto grave per un film che si ripromette e cerca in tutti i modi di tenere col fiato sospeso e stupire. Tutto il contrario, la prevedibilità è sovrana, in ogni piccolo dettaglio. Dopo le prime scene ricche di suspense ambientate nella stanza da bagno (eletta luogo del terrore "in omaggio" a Psyco) si finisce per dubitare dell'intelligenza della protagonista ogni qual volta si ostina ad avvicinarsi alla vasca da bagno. Nel secondo tempo il thriller vira decisamente verso l'horror, approdando ad un finale splatter e ben innaffiato di sangue, con una inverosimiglianza imbarazzante. E' vero, non ci si annoia (ma forse ci si arrabbia), il ritmo è effettivamente veloce, ma questo non basta. Zemeckis non crederà davvero di aver fatto un film in stile hitchcockiano? Da salvare comunque i protagonisti, la Pfeiffer (praticamente la vera protagonista), che avrebbe meritato una regia più raffinata, e Ford, che si diverte a sorprendere tutti con un ruolo del tutto diverso dal solito.

La fragile e indifesa protagonista scende le scale della bella villa sul lago sapendo che qualcosa e' in agguato. Lo spettatore sa benissimo che l'attesa e' dosata per creare tensione e sfocera' in un rumoroso colpo ad effetto, ma pur prevedendo gli eventi non riesce a controllarli e salta ugualmente sulla sedia. Sembra di essere in un B-movie d.o.c., invece il film e' "Le verita' nascoste" e porta la firma di un regista prestigioso come Robert Zemeckis che dimostra di conoscere molto bene le regole e i tempi del thriller, qui in salsa horror. Ecco quindi il male scaturire nell'intimita' della casa, luogo culto per mettere a dura prova l'equilibrio psicologico dell'eroina di turno. Ecco sussurri, ombre, riflessi, specchi rivelatori, chiavi misteriose, fotografie sibilline. Il tutto sapientemente assemblato in una sceneggiatura d'impianto tradizionale ma ben strutturata, in cui gli indizi seminati ritornano al momento giusto. A contribuire al risultato, determinante anche l'autunno del Vermont, fotografato con eleganza, e l'apporto degli interpreti. Se il bolso Harrison Ford ben si adatta a un ruolo inusuale, il film si basa pero' sulla sensibilita' interpretativa di Michelle Pfeiffer. Forse piu' che spaventare veramente, il film gioca a spaventare, e la visione ricorda un giro nella "Casa del Terrore" del Luna Park, dove si va per provare paura e si esce ridendo. Questo non per sminuire l'opera di Zemeckis, ma per sottolinearne l'aspetto ludico e citazionista, ovvero come trasformare in spettacolo le nostre paure.

"Le verità nascoste" non dice nulla di nuovo ma tutto, quasi, di nuovo. Un cofano perfetto e gelido in cui si condensano motivi, stereotipi, occasioni dei generi Horror e Thriller: con un'abilità superba Zemeckis costruisce la prima metà del film con lenti carrelli laterali, ambienti casalinghi, accumula accidenti, falsi indizi, sentieri errati, appoggiandosi sulla perfetta (e sempre più bella) Michelle Pfeiffer. La citazione non è palese ma costante presenza, non ingombrante, anzi perfettamente integrata ad essere parte dell'atmosfera, utile a permettere la necessaria sospensione della credulità dello spettatore; la dosatura dei tempi è perfetta, un saggio su come creare lo spavento, nei modi più ovvi e "telefonati" ma comunque efficace; è necessario dunque accettare le regole del gioco, farsi cullare in un vuoto cinematografico, in un orizzonte in cui l'unica conoscenza sia quella immediata, sensoriale. Così si sale la china della suspense, fino all'acmè della tensione, cartesiano ed avvolgente Zemeckis conduce il suo spiel con l'abilità dell'artigiano, completa il suo capolavoro in 45' serrati ma giunta al termine l'arrampicata emozionale, ad attendere lo spettatore è un estenuante falso piano. Quanta era stata la cura per il dettaglio, per la direzione degli attori che accentuava l'aspetto di tensione, altrettanta ora è l'energia profusa per rendere credibile la svolta macabra, giocata sempre più sull'esplicito - il mistero da molto non è più tale - fino a divenire ovvietà trita degna di un qualunque horror (meglio comunque degli ultimi esempi forniti dal genere nella stagione). Un corpo nettamente scisso è quello de "Le Verità Nascoste" che mantiene una certa unità tematica all'interno della filmografia del nostro, il tempo, il rapporto con il divenire e la morte, ma che non riesce a convincere come unità: le due attitudini sono ben padroneggiate ma per nulla compenetrantesi, l'idea affascinante del thriller paranormale non viene perseguita con coerenza, slabbrata la decadenza porta all'estenuazione in un finale come mille altri, uno spreco peccaminoso.

Da Forrest Gump, Robert Zemeckis s’è dato ad un cinema più adulto, meno giocattolo, senza abbandonare il territorio del fantastico. Qui frequenta il thriller, tenendo presenti la gestione dei tempi (effetti sonori, pause, rumori sinistri, silenzi, attese, ansie, il Sospetto sul marito) di Alfred Hitchcock e l’arte del montaggio di papà Steven Spielberg (magistrale la composizione della scena nella vasca, con lei che tenta di respirare e, prima, lo shock della visione della morta). Il racconto riesce ad essere credibile perché Zemeckis è abile a presentare come normale l’eccezionale e perché, per gran parte della durata, fa credere che tutto sia la soggettiva di una paranoica, se non la proiezione inconscia di un essere umano alla scoperta della verità su se stesso, su fantasmi rimossi dal proprio passato. Il regista inizia descrivendo la vita di coppia, il dolore di una madre che si stacca dalla figlia: non è autore dalla caratura tale da non far sbadigliare (e può appoggiarsi sul physique du rôle di due grandi divi), ma tutto è propedeutico a svelare il lato oscuro sotto la superficie calma del lago, del Mistero dell’Acqua (molto più autorale il film di Kathryn Bigelow, che non si chiude nei topoi di genere), degli specchi che, infatti, si infrangono per un puzzle da ricomporre.