TRAMA
1967. Un giovane orfano va a vivere dalla nonna a Demopolis, una cittadina dell’Alabama. Il ragazzino incontra una strega e ne parla con la nonna che decide di portarlo al sicuro in una località balneare. Non sanno, però, che proprio nel loro albergo si terrà la convention di tutte le streghe del mondo. A riunirle la più temibile di tutte, la Strega Suprema.
RECENSIONI
C’è l’omonimo romanzo scritto nel 1983 dal molto amato e più volte trasposto Roald Dahl. C’è la regia di Robert Zemeckis, capace di rendere fluidi complicati movimenti della macchina da presa e di fonderli alla perfezione con il tripudio di effetti speciali presenti in quasi ogni inquadratura. C’è la musica di Alan Silvestri che fiabeggia con grande mestiere. C’è il tocco dark di Guillermo del Toro, anima originaria del progetto, che doveva essere in stop-motion e da lui diretto, e qui co-sceneggiatore insieme a Zemeckis e a Kenya Barris; in veste di co-produttore c’è pure Afonso Cuarón; e a metterci la faccia ci sono una più divertita che divertente Anne Hathaway, a metà strada tra Crudelia De Mon e la moglie di Frankenstein, e Octavia Spencer, con tutto il calore e l’umanità che è da sempre capace di infondere ai personaggi che interpreta (anche se è un po’ giovane, a soli 50 anni, per il ruolo di nonna). L’insieme di talenti genera un risultato estremamente professionale, anche piacevole nel suo scivolare innocuo con grande ritmo, ma a mancare, sempre più evidente nel susseguirsi degli incastri, è il collante della magia. Nulla lascia davvero il segno e il film non centra nemmeno un target di riferimento preciso, sbilanciandosi con poco equilibrio tra il puerile e lo spaventoso, incerto quindi tra il troppo e il troppo poco. Punto debole del racconto è soprattutto la sceneggiatura, eccessivamente basica, che butta lì poche coordinate narrative insufficienti a creare premesse coinvolgenti: le streghe sono cattive, i bimbi sono buoni, meglio darsi alla fuga, toh nell’albergo in cui ci si rifugia c’è proprio il raduno delle streghe. Poi qualche inquietudine affiora (la mostruosità degli adulti, incapaci di andare oltre alle apparenze, i genitori che non sono in grado di accettare i figli per quello che sono), e il messaggio di inclusione che arriva (anche perché spiegato a chiare lettere) è quanto mai contemporaneo e universale, eppure il retrogusto non lascia traccia e si esaurisce nella visione. Inevitabile il confronto con la precedente trasposizione del 1990 dello stesso romanzo, Chi ha paura delle streghe? di Nicolas Roeg, molto simile nello spirito (a parte ambientazione, epoca ed etnia dei protagonisti), ma più incisivo nella scrittura e maggiormente sinistro nella resa visiva. A risentirne sono anche gli effetti speciali, perché quelli di Jim Henson sono sicuramente più artigianali e datati, ma anche più efficaci di quelli digitali; la computer grafica, infatti, nel momento in cui è riconoscibile diventa innocua. Il film si limita quindi a intrattenere, il che non è sicuramente poco e va riconosciuto, ma dato il tenore dei talenti coinvolti qualche zampata in più era lecito attenderla.