Recensione, Storico

LE ROSE DEL DESERTO

TRAMA

L’esercito italiano in Africa, durante la seconda guerra mondiale. L’avventura imperiale del fascismo è una tragica burletta ma i nostri piccoli eroi, succubi della propaganda, marciano persuasi della Romana superiorità sulla perfida Albione: sperimenteranno qualcosa di più importante della gloria o della sconfitta.

RECENSIONI

Si possono elogiare, del film di Monicelli, la leggerezza del tratto con cui delinea lo scontato repertorio di macchiette regionali (il veneto, il sardo, il romano…), eterna croce e delizia del nostro cinema; l'efficace sbalzo dei due ritratti maggiori, lo svagato e romantico Strucchi (Haber, a suo agio nella recitazione sotto le righe) che cita Omero e Leopardi, e il laconico e tagliente frate Simone (Placido, una splendida maschera petrosa); la sobria, onesta intensità dei momenti più drammatici (il matrimonio per procura, le due sepolture), il cui pathos è rapido, inquadrato da piani non ravvicinati, bilanciato dallo spirito dei dialoghi; il rinnovato sberleffo alla retorica guerresca, coloniale e viriloide del fascismo (le pose mussoliniane che Strucchi tenta goffamente di assumere; le gag del generale accidioso; le apparizioni, come in una pellicola d'epoca, del superiore trombone – l'ispirato Tatti Sanguineti). Ma non si possono tacere le grevi incursioni “etniche” della colonna sonora, l'incuria nella recitazione (a parte i succitati Haber e Placido), le inerzie e le sviste nella sceneggiatura (come l'uso del “lei” al posto del fascistissimo “voi”), e soprattutto lo schematismo didascalico che affiora a più riprese (praticamente ogni volta che apre bocca il personaggio interpretato da Pasotti), tale da sovrastare la tiepida attenzione agli attriti fra culture tanto diverse (il benintenzionato dottore provoca con la sua corrività il ripudio della donna desiderata). L'attualizzazione del becero e disorganizzato imperialismo fascista tradisce poi la volontà inutilmente chiarificatrice che l'ha ispirata: per due volte, udiamo la fatidica formula “vogliamo portare la democrazia a questo popolo”. Affermazione che, se ci riporta agli alibi civilizzatori dei potenti di oggi, stride fortemente con il codice propagandistico del fascismo, considerando l'odio nutrito dall'infame ideologia littoria verso le istituzioni del liberalismo democratico quali si erano imposte nei primi decenni del ventesimo secolo.