Amazon Prime, Drammatico, MUBI, Recensione

LE RICETTE DELLA SIGNORA TOKU

Titolo OriginaleAn
NazioneGiappone
Anno Produzione2015
Durata113'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Sentaro gestisce una piccola panetteria che vende dorayaki – paste ripiene di una salsa dolce ricavata da fagioli rossi. Quando Toku, un’anziana signora, si offre di aiutarlo in cucina, Sentaro accetta con riluttanza. Ma ben presto Toku dimostra di avere due mani magiche. Grazie alla sua ricetta segreta, nel giro di poco tempo la piccola attività inizia a prosperare… E con il passare del tempo, Sentaro e Toku aprono i loro cuori e rivelano antiche ferite.

RECENSIONI

Naomi Kawase è una regista particolarmente duttile che nel corso della sua carriera ha esplorato una serie di temi ricorrenti (la vecchiaia, la morte, la rinascita, la bellezza nascosta delle cose, la mistica della natura) declinandoli in un ventaglio di sfaccettature (dal melodramma raggelato di The Mourning Forest, all'epica panteista di Still the Water, al documentario come in Genpin e Chiri), pur mantenendo un suo tocco distintivo, intimista e contemplativo. Con Le ricette della signora Toku -in originale intitolato semplicemente An, come la marmellata di fagioli rossi al centro della narrazione - Kawase firma un film piccolo e delicato, a tratti vagamente lezioso ma mai inutilmente sdolcinato, meno ambizioso del precedente Still the Water, ma anche meno ampolloso e apprezzabilmente più soave.
Come classico nella filmografia della Kawase, anche qui ritroviamo generazioni a confronto dinnanzi all'enigma della vecchiaia, stato che ineluttabilmente conduce alla morte. La connotazione particolare che questo tema ricorrente assume in Le ricette della signora Toku è quella della malattia - la lebbra - che ha afflitto l'anziana protagonista in giovane età, deformandole le dita delle mani. Intravediamo e sentiamo parlare degli effetti devastanti di questa malattia fuori dal tempo: visi deturpati, nasi che cadono, arti che si aggrovigliano. Il corpo sfigurato del lebbroso si pone in contrasto apparente con la rotondità perfetta delle frittelle dorayaki e il ciclo sferico delle stagioni: i sakura in fiore in primavera regalano ciliegie d'estate, coprono la strada di foglie rosse d'autunno e i rami spogli innervano il cielo d'inverno, per poi ricominciare. Ma l'opposizione fra i due termini è solo superficiale, perché le mani della signora Toku sono magiche ed è il suo spirito che fa la differenza: è una connessione con la natura ad un livello più profondo, parla e comprende i preziosi fagioli rossi da cui ricava una marmellata tanto speciale. Il motivo della lebbra diventa dunque un elemento per interrogarsi sulla bellezza che giace dietro le forme vacue e sull’insensatezza che ci porta ad allontanare la felicità per imposizione altrui, imposizione inflitta da una società che ostracizza sulla base dell'apparenza, negandosi la vera bellezza (in merito a questo, il film menziona la legge giapponese che fino al 1996 prevedeva il confino a vita dei lebbrosi in sanatori appositi).
I film a tematica culinaria rappresentano ormai una vera e propria tradizione, un genere trasversale che interessa sia il cinema d’autore che i prodotti più commerciali. Il motivo comune di queste opere è la funzione narrativa del cibo, veicolo per parlare al cuore e all'anima delle persone. È in questo medesimo senso che vengono utilizzate le frequenti scene in cui Kawase ci mostra la preparazione delle frittelle e, soprattutto, della marmellata di fagioli rossi. È un rito magico, che prevede forme di comunicazione silenziose che possano abbattere i confini, come quello fra uomini e natura - i fagioli devono essere ascoltati per essere cucinati nella maniera corretta, vanno mescolati delicatamente per evitare di romperli, di far loro del male.
Sul piano formale, Le ricette della signora Toku si distingue per un uso inebriante della luce naturale, che satura l'immagine, la purifica. La macchina da presa coglie le situazioni con sguardo partecipe, vibrante eppure discreto. Le inquadrature sono lunghe e mobili, cercano il dettaglio, il primo o primissimo piano, lontano da qualsivoglia obiettivo estetizzante, ma trovando comunque una sorta di bellezza eterea. Il film si prende il suo tempo per svilupparsi - lentezza orientale, direbbe qualcuno - ma è così che ci chiede di partecipare al suo ritmo, pulsante eppure sommesso come un battito del cuore.