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TRAMA
Fine degli anni ’70 nella cittadina di Vevey, sulle sponde del lago di Ginevra. Eddy, un belga di quarant’anni, esce di prigione e viene accolto dal suo amico Osman. I due fanno un patto: Osman lascia che Eddy viva nel suo capanno e, in cambio, Eddy si prende cura della figlia di sette anni di Osman, Samira. Un giorno, però, in televisione viene annunciata la morte di Charlie Chaplin, che lascia agli eredi un’enorme ricchezza. Eddy si ritrova a sognare a occhi aperti e a meditare una strana idea: se rubasse il corpo del defunto attore per chiedere un riscatto alla famiglia?
RECENSIONI
Un buddy movie sui generis, tanto inatteso, quanto disomogeneo. Xavier Beauvois in La rançon de la gloire trae spunto dal fatto realmente accaduto a Vevey in Svizzera nel 1978 dei due immigrati che tre mesi dopo la morte di Charlie Chaplin ne trafugarono il cadavere chiedendo un riscatto per restituire la bara. Beauvois non accetta la sfida di una possibile verosimiglianza narrativa, trasformando subito nebulosa storia, tragica memoria e caratteri balordi dei protagonisti in qualcosa di più attinente agli stilemi della commedia. I due malviventi nella realtà pare non avessero motivazioni etiche così alte - per il nordafricano Osman interpretato Roschdy Zem il colpo viene definitivamente deciso dopo molta titubanza per pagare le cure della moglie malata -, ma avessero una necessità più pragmatica di rifarsi il garage. Una modifica strutturale di un presunto biopic per avere a disposizione due little tramps o vagabondi da avvicinare alla poetica del Chaplin morto. Altro passaggio curioso è linvenzione di un maggiordomo di casa Chaplin che coordina le operazioni di riscatto, sostanzialmente in sostituzione dellavvocato che trattò realmente con i lestofanti, in modo che si possa lavorare sullo stereotipo comico dellamericano tutto metodi spiccioli e pistola in pugno. Le incongruenze volute per riscrivere benevolmente la storia si intrecciano poi con il desiderio e la fattiva realizzazione del girato in una parte della vera casa di Chaplin e a pochi metri di distanza, nello stesso cimitero, dalla vera lapide dovè tuttora seppellito lattore britannico. E in questa mescolanza di ricerca del vero, corroborata da una chiara volontà falsificatrice che si iscrivono psicologie, dialoghi ed evoluzione del rapporto tra i due protagonisti, inevitabilmente sul versante dellinadeguatezza nella funzione di rapitori di salme, se non addirittura di misunderstanding di ruolo per Eddy (Benoit Poelvoorde) finito allimprovviso dalle grazie della giovane figlia di Osman in quelle della direttrice del circo dove diventerà un clown con risultati notevoli, vedi fuga dalla realtà comunque percossa per avere risultati a proprio favore con il gesto criminale.
La regia classicheggiante di Beauvois si appiattisce su semplici campi e controcampi, rinuncia all’effetto spettacolare, prova ogni tanto ad accelerare ritmo delle gag ed evocazione del perdente per (ri)trovare uno spirito chapliniano nell’atteggiarsi dei due balordi che mai si qualifica e sintetizza dall’ipotesi allo schermo o che anzi deraglia in una puntata di Sabato al circo quando Eddy si mimetizza tra leoni, giraffe e pagliacci. Infine, Beauvois più volte cerca di allargare lo sguardo, tentando una serie di campi lunghi in cui fa respirare le figure umane a favore di uno sfondo naturale lacustre e montano che però risulta incombente e sempre tragicamente in bilico sulla più semplice illustrazione di una “tranche de vie”. Il commento musicale del celebre Michel Legrand, infine, con tutta la sua invasiva e barocca prepotenza/presenza, chiude il cerchio per un lavoro apparentemente lontano da una qualsiasi marca autoriale, incline ad un accademismo che sa più di operazione raffazzonata per produttive cause di forza maggiore che per mancanza di soggetto e di mezzi realizzativi.
