TRAMA
Un gruppo di spregiudicate spogliarelliste di New York uniscono le forze per attuare un piano criminale in grande stile: adescare, drogare e derubare i loro clienti, per la maggior parte ricchi broker di Wall Street.
RECENSIONI
Storia vera di un gruppo di lap dancer travolte dalla crisi finanziaria del 2008 e da questa costrette a reinventarsi truffatrici: ispirato a The Hustlers at Scores, articolo pubblicato nel 2015 sul New York Magazine a firma di Jessica Pressler, Le ragazze di Wall Street è lo Showgirls all’acqua di rose che ci meritiamo in quest’epoca di superficie. Gangster movie e politica dei corpi, critica sociale e sentimento di sorellanza, tentativo di partecipazione calcolata al movimento globale di rivendicazione femminista che qui si perde in scarsa consapevolezza politica, qualche strepito di qualunquismo, dita puntate verso nuove forme di ipocrisia. Le nostre protagoniste sono colleghe, amiche, sorelle in uno degli strip club meglio frequentati di tutta Wall Street. L’ultima arrivata è Destiny: madre single, passato turbolento, una nonna da sostenere economicamente. Viene presa sotto l’ala protettrice della carismatica Ramona, la regina del locale, magnete attorno al quale ruota una costellazione di ragazze, un turbinio di drink, occasioni, uomini. Uomini, o no: squallidi squali dell’alta finanza che vedono nel club un’estensione del loro dominio economico. Dalle scrivanie dei loro uffici, alle pedane per la lap dance, ai salottini privati: il passo è breve e lastricato di dollari. È la forza indifferente del denaro a comandare, biglietti verdi lanciati sulle donne, ma vittima e carnefice sono legati a doppio filo: le ballerine sanno come usare il proprio corpo e chi tiene veramente le redini del gioco è solo una questione di prospettiva. Arriva poi il 2008, annus horribilis della crisi finanziaria che travolge Wall Street e il mondo intero. Il numero di clienti si riduce drasticamente e anche le ballerine sono diverse, nella nazionalità – arrivano le straniere, forse russe – quanto nell’anima – non c’è più la stessa sorellanza. La crisi economica penetra e agisce su tutto, sui corpi e nelle morali. È ancora una volta alla diva Ramona che si deve l’idea risolutiva: mettersi in proprio per adescare, drogare e quindi derubare uomini ricchi e sprovveduti.
Vendetta sociale? Le ragazze di Wall Street punta il mirino contro l’establishment finanziario che portò gli USA e il mondo alla rovina ai tempi della crisi dei subprime. Ma è sufficiente sbeffeggiare un manipolo di ricchi uomini scemi per mettere alla berlina il sistema capitalista e maschilista? Sorprendentemente la disamina dello spirito machista e la degradazione della donna a mero oggetto carnale sembrano non essere le preoccupazioni centrali del film. Si glissa frettolosamente sull’analisi e si salta immediatamente alle conclusioni: l’uomo va punito perché ricco, perché il sistema iniquo distribuisce la ricchezza esclusivamente nelle mani dei maschi (definiti "truffatori che si fanno fare pompini con i fondi pensionistici dei pompieri" in una delle battute più sagaci del film). Lo scopo delle protagoniste, quindi, non pare essere tanto quello di rivendicare una posizione economica e sociale egualitaria rispetto al genere: in un film di corpi usati, sfruttati, scambiati, esposti, a mancare – incredibilmente – è una riflessione politicamente adeguata sul tema del corpo come capitale etico ed economico. A fronte di una società non equa, l’obiettivo ultimo è quello di accumulare denaro, diventare ricche, tanto per appianare i debiti quanto per poter finalmente partecipare, da protagoniste, allo stesso sistema capitalista che in teoria viene accusato. La contraddizione – o scarsa coscienza di classe? – del film risiede dunque nella denuncia ipocrita di un sistema che viene preso di mira non per le cancrene endemiche che lo caratterizzano, quanto per l’impossibilità da parte dei personaggi femminili di parteciparvi: oggetti di marca e proprietà di lusso sembrano l’unico traguardo su cui si concentrano le lotte delle donne. A fare le spese di questo meccanismo narrativo-ideologico sono prima di tutto i personaggi: se Ramona, che incarna la parte razionale, brilla del corpo di Jennifer Lopez e Destiny, la componente emotiva, è l’esca narrativa che ci traghetta nel racconto, le altre ragazze della banda non sono altro che sfumature più o meno sgargianti di modelli femminili superficiali, prive di caratterizzazioni psicologiche complesse. Stupisce quindi l’entusiasmo della critica americana verso il film, verso una concezione del femminismo che si accontenta di battute di spirito e maschi sommariamente crocefissi. La lotta per i diritti delle donne è altro e merita un trattamento più consapevole.
Sotto il profilo prettamente cinematografico, il film ha un suo ritmo assolutamente godibile. Anche da questo punto di vista, però, Le ragazze di Wall Street brilla più per quello che sarebbe potuto essere che per quello che effettivamente è. Non stupisce vedere Adam McKay (La grande scommessa, Vice – L’uomo nell’ombra) fra i produttori, proprio perché questo è il film che Adam McKay avrebbe potuto, o forse dovuto, fare. Nella sua dimensione ideale, vorrebbe essere un esempio di cinema politico che, in forma di pastiche pop, riunisce idiosincraticamente la saga degli Ocean, Magic Mike, Wall Street e The Wolf of Wall Street. La regia di Lorene Scafaria vi accenna sempre, ma raramente tenta un reale affondo. Su tutto e su tutti si staglia però lei, Jennifer Lopez, e il suo corpo-alfa, corpo-politico, corpo-capitalista. Il suo ingresso in scena è il momento migliore del film: una presenza statuaria che domina il palco, si avvita sul palo, cattura con magnetismo predatorio tanto i clienti quanto le altre ragazze. Si corre il rischio di confondere il carisma innegabile del corpo-icona-Lopez con meriti di recitazione (che forse sono un’altra cosa) ma resta senza dubbio lei il principale motivo di interesse dell’intera operazione.
