Drammatico

LE PARTICELLE ELEMENTARI

Titolo OriginaleElementarteilchen
NazioneGermania
Anno Produzione2006
Durata105'
Sceneggiatura
Tratto datratto dal romanzo di Michel Houellebecq
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Due fratellastri: un erotomane mediocre professore di letteratura in crisi coniugale e molestatore di studentesse, un biologo romantico ma alle prime armi col sesso. La madre comune non fu loro sostegno, ed ecco il bel risultato._x000D_

RECENSIONI

Da uno dei più saccenti, abilmente provocatori e sopravvalutati romanzi degli ultimi anni, uno dei film più balordi e imbarazzanti della stagione: poco ci risparmia in banalità pecorecce, ricatti emotivi, politically uncorrect parolaio, moralismo reazionario, ma ha il merito di portare in primo piano la desolante baracconata ideologica che la prosa di Houellbecq imbellettava con pretese intellettuali di grande clamore e scarso spessore. Ad esempio, si cita Nietzsche con l’aria dei primi della classe, ma a sproposito: nella critica mossa dal filosofo all’Occidente venivano difatti coinvolti anche quelli che narratore e regista considerano pilastri di una civiltà messa in crisi dalla separazione fra sesso e procreazione (e dalla conseguente liberazione della donna), da un’edonistica decadenza morale (non lo credete? Ebbene, per lo scrittore i serial killer degli anni ’90 sono la logica evoluzione degli hippy degli anni ’60), dall’onnipotenza della tecnologia; benché di quest’ultima non sappiano granché, a giudicare dalle scempiaggini para-ratzingeriane messe in bocca al personaggio di un illustre scienziato (il solito incubo della scienza che uccide il romanticismo della vita: non c’era niente di meno polveroso per vellicare le angosce del pubblico?). Houellebecq e Roelher fanno così la figura del personaggio de Il Buio nella Mente che elargiva massime nietzchiane per far sfoggio d’erudizione, ma senza rendersi conto della loro portata: esponente d’un ceto borioso e parassitario che più tardi, nel film di Chabrol, sarebbe stato preso a fucilate.
È pericoloso atteggiarsi, come fa lo scrittore, a Céline dei tempi nostri; soprattutto se le provocazioni in cui ci si imbarca non sono migliori di quelle di una Fallaci qualunque. Il punto di partenza è rappresentato dal disorientamento, dall’insicurezza avanti al disfarsi della famiglia tradizionale, all’alluvione di culture altre, all’infelicità che si crede invano di scacciare con la ricerca del piacere. Sentimenti comprensibili, e così diffusi da riscuotere grande simpatia, ma giocati nel loro aspetto primordiale, senza alcuno sforzo di riflessione (ciò che a noi pare tuttora uno dei doveri dell’intellettuale), e offerti con la sanguigna aggressività che ne rappresenta un fattore di sicuro successo – altro che anticonformismo! – ma anche una formidabile leva di azione demagogica.
Si taccia dell’elaborazione formale, di cui il film non reca indizio mentre non si perita di toccare il ridicolo: la scena in cui la bella paralitica è sull’orlo del suicidio, e quella successiva dell’apparizione del fantasma che fa la sua brava omelia (confermando la presenza epidemica nel cinema odierno di morti viventi sentenziosi e bonari), vorrebbero costituire culmini tragici ma sono abissi di comica pornografia emotiva. Né basta: fermamente deciso a semplificare, Roelher finisce con l’attribuire tutta la colpa dell’infelice condizione dei protagonisti a mammà, che non volle assolvere ai doveri di angelo del focolare e di brava massaia: la frustrazione sessuale di due quarantenni in crisi esaltata a destino epocale dal narcisismo vittimista dell’autore, che impedisce di coltivarne una riflessione esistenziale (alla quale peraltro non necessitano toni rombanti e apocalittici: si pensi a un libro ricco di spiritoso acume come Soffocare) e diventa paradossalmente rassicurante, offrendo la panacea di ogni male nel ritorno alla trascorsa e vagheggiata età dell’oro, quando le donne stavano in casa a cucinare e a badare alla prole.
Tale il ciarpame esibito dal libro e dal film (il trattamento riservato al femminismo, identificato con quattro acidone malvissute, è di lampante e paradigmatica stupidità). Tutto all’opposto del pensiero trasgressivo che pretendeva di attingere, è la voce di tanti, di troppi, la voce dell’eterno “estremismo di centro” (Spinelli): ottusamente maschilista, anarchico finché si tratta di fare i propri comodi e rigidamente perbenista quando c’è da valutare il comportamento altrui, pericolosa sommatoria di luoghi comuni, paura, falsità, rancore, arroganza.