Criminale, Drammatico, Sala

LE FIDÈLE

TRAMA

Bruxelles. Gino e Bénédicte si incontrano, si amano subito. Lei più giovane, di buona e ricca famiglia. Lui una vita difficile, fuori dagli affetti genitoriali e dalla legalità, sin da piccolo. Qualcosa che Bénédicte scoprirà soltanto col tempo. Il sentimento, però, resta, è più grande di loro, resiste contro quel mondo che solo così, in un legame fortissimo, sanno abitare.

RECENSIONI

"Tu hai paura dei cani perché loro sono onesti" grida Bénédicte (Adèle Exarchopoulos) a Gino (Matthias Schoenaerts), nel momento in cui s'accorge che l'uomo che ama è uno sconosciuto, che Gino non si occupa di import-export di auto come sempre le ha raccontato. Ed è anche il momento del film che getta una sorta di luce nuova, e obliqua, malinconica, inesatta, sull'infanzia di lui, su quell'incipit di film già  immediato, preciso,  su quella fuga di un bambino sanguinante e impaurito. È nell'infanzia di Gino, in un inizio breve, circoscritto, fatto di pochi ma incisivi elementi, che Michaël R. Roskam concentra tutta la rete concettuale di quello che poi verrà, è qui che sintetizza i significati, perché poi ci saranno soltanto sensi possibili, non ci sarà nulla da verificare, da mettere a tesi. Anche l'innamoramento  tra i due è rapido, si dà subito, nei 130 minuti di film, avviene facile, diretto, immediato,  è un prologo. Il resto di Le fidèle viene scandito in atti che portano i nomi dei protagonisti (Gigi e Bibi: perché è cosi che li chiamano e tra loro si chiamano; perché in questa prossimità in realtà impossibile, irrealizzabile, il regista li individua) o che ricordano invece le parole che hanno dato loro l’amore, mente il noir e il mélo si impastano di raffinata scrittura psicologica, di azione e inazione, di elementi connettivi e smarrimenti.

Roskam mette in circolo il suo cinema, da Bullhead a Chi è senza colpa, torna al bravissimo Matthias Schoenaerts (che anche solo come presenza intermittente innalzava il livello di Red Sparrow di Francis Lawrence); torna a ispirarsi al Belgio e al crimine tra anni Novanta e primi anni Zero; i destini incrociati; i generi cinematografici intesi come possibilità, campi commutativi, più che come categorie del racconto; le traiettorie delle storie  come spostamenti e ricollocazioni, più che come progressioni. Bibi lavora nell’ufficio del padre, ricco imprenditore, ma è nella gare automobilistiche che dà il meglio di sé. Gigi rapine banche dall'adolescenza con i suoi amici  ma non sa perché lo fa. Il regista non spiega mai cosa e chi sono, e asciuga, sottrae, mostra, non livella o appiattisce mai. né esaspera. Eppure li restituisce in tutta la loro complessità inadeguata. E, così, anche la forte sessualità tra i due è dentro questo sguardo, e l’articolazione dei corpi, dello spazio si svolge nelle pieghe di uno scrittura e di una messa in scena tanto asciutte quanto vagamente astratte.

Le fidèle riesce perché rende comprensibili i suoi protagonisti, anche se non so mai davvero sondabili; sono irrisolti Gigi e Bibi, ma non lo è il film. Roskam coreografa l’action quasi fosse il nuovo luogo del disincanto dopo il western; rende i personaggi di contorno (gli amici e "colleghi" di Gigi, il padre e il fratello di Bibi, la poliziotta, il direttore del carcere, l’imprenditore-boss criminale con cui Bibi è costretta a venire a patti) presenze discontinue ma necessarie, proprio perché più profondamente veicolari che meramente funzionali. E anche la bellezza di Schoenaerts e Exarchopoulos, quella dei loro corpi, dei loro volti, qui, non è mai, come dire, "statutaria", vincolante (sebbene il regista abbia scelto l’attrice parigina dopo averla vista La vita di Adele, e su di lei abbia ricalibrato un personaggio in prima battuta immaginato anagraficamente più maturo),  ma è piuttosto, appunto,  vettoriale, direzionale, elemento comunicativo. Aspetto che si fa più interessante se situato in un film introverso eppure stranamente vicino.