Fantasy

LE CRONACHE DI NARNIA: IL LEONE, LA STREGA, L’ARMADIO

Titolo OriginaleThe Chronicles of Narnia: The Lion, the Witch and the Wardrobe
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2005
Genere
Durata125'
Tratto dadal libro di C.S. Lewis
Fotografia

TRAMA

Durante la seconda guerra mondiale quattro fratelli vengono mandati dalla madre lontano da Londra, assediata dai bombardamenti. Nell’immensa casa di campagna in cui deve attendere la fine della guerra la sorella più piccola scopre che entrando in un armadio apparentemente normale è possibile accedere ad una terra incantata di nome Narnia.

RECENSIONI

Guardare oggi il film Il leone, la strega e l’armadio è come leggere il romanzo da cui è tratto: non si fa che paragonarlo con Il signore degli anelli e ripetere con un po’ di delusione quanto l’opera.tolkeniana fosse più ricca, complessa, suggestiva ed adulta. Sottraendo il film ad un confronto scomodo quanto pretestuoso si può però continuare ad affermare che il primo capitolo delle Cronache di Narnia è probabilmente più soddisfacente per un pubblico giovanissimo che per un pubblico adulto, al quale certi toni rassicuranti possono risultare sgraditi e le dinamiche prettamente “infantili” dei protagonisti bambini possono rendere difficoltosa l’identificazione. E’ anche vero che la pellicola, pur essendo assolutamente fedele al romanzo – salvo lo smussare e raccordare alcuni punti per renderli cinematograficamente più efficaci – inciampa in almeno due o tre occasioni rendendo la storia più stucchevole e consolatoria di quanto Lewis avesse fatto. Se alcuni aspetti rischiano quindi di rendere troppo bambinesca la pellicola, restano indiscutibili i suoi meriti nel rendere visivamente affascinante quel che la fantasia dello scrittore inglese aveva creato. E se di favola si tratta, Il leone, la strega e l’armadio è anche una bella favola. La prima parte del film affascina subito grazie alla trovata dell’armadio-porta su un mondo fantastico, poi grazie a tutte le trovate puramente fiabesche (dal fauno ai castori, dall’inverno senza fine all’insinuante, affascinante figura della strega). La seconda parte, meno improntata alle invenzioni ed alle atmosfere fiabesche (eccezion fatta per le statue di pietra), risulta meno felice. Da un lato perché in fatto di battaglie non esiste davvero più alcuna possibilità di stupire il pubblico cinematografico, dall’altro perché il processo di trasformazione del fratello maggiore in guida dell’esercito del bene è troppo rapido. Il leone Aslan, la figura carismatica della saga, paga invece un doppiaggio italiano assolutamente folle: chissà perché anziché avere una voce profonda ed autorevole parla con quella accentata di Omar Sharif. I personaggi più simpatici sono il fauno ed i castori, la Strega Bianca interpretata da una glaciale ed imponente Tilda Swinton è del tutto appropriata, ma le personalità dei quattro fratelli sono piuttosto fragili. Almeno i due maggiori appaiono pedanti o al massimo insignificanti, mentre la piccola Lucy è decisamente amabile ed il “traditore” Edmund risulta più umano ed interessante degli altri. Il primo capitolo delle avventure di Narnia offre scenografie incantevoli, costumi perfetti ed il piacere della fantasia e della favola, oltre all’immancabile lotta tra il Bene ed il Male. Gli manca una vera suspense che faccia dubitare, almeno per un minuto, che il primo trionfi sul secondo, ma questa è prerogativa di moltissime favole.

Cartman For my book report, I read The Lion, The Witch, and the Wardrobe. It was very very good. Have you read it, Mr. Garrison?
Garrison No, I can't say that I have.
Cartman Oh, good. In The Lion, The Witch, and the Wardrobe, a bunch of uh, hippies, walk around and paint stuff. They eat lunch, and then they find a magical camel which they have to eat to stay alive. And that's pretty much it.
(South Park #203 Chickenlover)

Cartman è un baro e un figlio di sultana, ma sa coniugare sintesi e preveggenza: il film di Adamson (quarto adattamento del romanzo di Lewis, dopo una serie televisiva anni Sessanta e due film per il piccolo schermo) è uno sconclusionato feuilleton per l'infanzia che saccheggia il mondo delle fiabe, riciclandone temi e figure, e dimentica che il racconto fantastico, più che di animali parlanti, eroici fanciulli e streghe implacabili, ha bisogno di robustezza narrativa e sfrenata visionarietà. NARNIA parte bene, con un'inaspettata e a suo modo toccante descrizione di un mondo reale divenuto ostile e incomprensibile per i quattro fratelli, allontanati dalla madre e rinchiusi in una dimora gotica i cui angoli oscuri sono il combustibile ideale per i sogni di un bambino (la prima incursione di Lucy nel bosco innevato). La bruma dell'ambiguità (il fauno adescatore) si dissolve ben presto in favore della doverosa contrapposizione luce/tenebre (cui si aggiunge, viva l'originalità, quella fuoco/ghiaccio), i litigi familiari scivolano nello sceneggiato di stampo freudiano (Peter e Susan, inaciditi genitori dei fratelli minori), il romanzo di formazione (i doni magici, il delatore pentito) è liquidato senza troppa convinzione, la buona novella (morte e risurrezione del leone, ebbene sì) è ridicola nella sua spiccia meccanicità, il posticcio, interminabile clangore delle battaglie soffoca l'incanto - non irresistibile - di scenografie e animazioni digitali. Fra giovani attori incolori [con la parziale eccezione di Skandar Keynes (Edmund)] e guest star discutibili (Babbo Natale) emerge senza sforzi lo charme disumano di Tilda Swinton, Circe congelata che ha la tetra, sprezzante ironia delle streghe di Andersen e delle regine di Shakespeare ('Dispera e muori!': RICCARDO III), sciaguratamente costretta a sparire nel nulla dopo la prevedibile sconfitta
Da evitare la versione italiana, che rimpiazza doppi(-)at(t)ori di lusso come Liam Neeson (Aslan) e Rupert Everett (la volpe) con voci inadatte quando non imbarazzanti.

Come sarebbe bello trovare un passaggio segreto verso un mondo sconosciuto fatto della materia dei sogni, dove la realtà può essere tranquillamente messa tra parentesi. Nel film "Insalata Russa", di Jurij Mamin, la porta-finestra di un appartamento di San Pietroburgo si affacciava direttamente sui tetti di Parigi. Nel lungometraggio di Andrew Adamson, tratto dalla saga di C.S. Lewis, l'armadio di una vecchia casa conduce invece nel magico mondo di Narnia, vittima del maleficio di una strega che impone l'inverno perenne. Ad aprire il varco tra cappotti e pellicce è la piccola Lucy, sfollata nella campagna londinese insieme alla sorella e ai due fratelli durante il secondo conflitto mondiale. La prima parte, quella della scoperta, è  l'unica riuscita. Fa piacere che la storia non corra a perdifiato ma si soffermi sul senso di meraviglia, così come non dispiace la caratterizzazione dei quattro giovani protagonisti, desiderosi di fuggire da un presente in cui la fatica di crescere si affianca al dramma della guerra. Peccato che la guerra sia centrale anche oltre la soglia dell'armadio, dove i sogni prendono la sconsolante forma di un'ideologia aberrante. I quattro ragazzi diventano infatti, come da antica profezia, paladini di un Bene la cui strada è lastricata di cadaveri. La guerra "inevitabile" e "giusta", oltre ad essere edulcorata (non si vede una goccia di sangue), viene data per scontata senza il minimo approfondimento, glissando su qualsiasi sfumatura che possa mettere in discussione l'agire dei personaggi. Si dirà che è la saga di Lewis a propugnare certi valori e che il film di Adamson si limita a dare visione a un pilastro della letteratura, ma l'assenza di dubbi e la dastrica semplificazione con cui gli eventi corrono nella seconda parte è un problema di organizzazione della sceneggiatura. Così come l'esaltazione della morale conservatrice sottesa al racconto è un problema della regia pedestre di Adamson, incapace anche di trovare l'epico laddove ce ne sarebbe assolutamente bisogno. Come si fa, dopo la trilogia di Peter Jackson, a impostare una battaglia con così poco pathos, dove la spettacolarità assume le banali forme di un videogioco in cui tutto è virtuale, e si vede, e dove basta la risurrezione di un leone che parla come Dan Peterson (mai scelta di doppiaggio - Omar Sharif - fu più infausta) per far trionfare la giustizia? Nella piattezza degli sviluppi si distinguono la carismatica Tilda Swinton, cui basta un'occhiata per lasciare il segno, i due castori digitali, i cui battibecchi suscitano moderata simpatia, e la piccola Georgie Henle, che ha una naturale spontaneità davvero contagiosa. Fa rabbia, però, pensare che il suo viso espressivo e ingenuo venga utilizzato per comunicare la stessa morale logora di sempre, basata su una visione implacabilmente manichea che il tempo pare non essere ancora stato in grado di aggiornare al buon senso. Può avere poco a che fare con il cinema, ma se è il cinema a spacciare per edificante una storia in cui: Babbo Natale regala spade, archi, frecce e pugnali per combattere; per essere Buoni bisogna per forza trasformarsi in Eroi; la massima ambizione è diventare "Flagello dei Lupi"; il successo si esprime nel ricevere una corona che ti rende superiore agli altri; il Male è una tentazione da cui si può guarire attraverso il riscatto; quattro ragazzini uccidono allegramente sciabolando a destra e a manca e vantandosi del truce operato; beh, se tutto questo passa per "corretto" ed "educativo" (non dimentichiamo che si tratta del film Disney di Natale destinato alle famiglie,) è quello stesso cinema a dovere essere messo in discussione. Andando oltre la forma, peraltro debole, e ponendo difese per arginare la inaccettabile sostanza.