Drammatico, Recensione

LE COSE CHE SO DI LEI

Titolo OriginaleThings you can tell just by looking at her
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2000
Durata107'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia
Musiche

TRAMA

Cinque storie di donne alle prese con i sentimenti e i piccoli problemi di ogni giorno: i figli, l’amore, la gelosia, la depressione, la morte.

RECENSIONI

Una dottoressa non corrisposta dall'uomo che ama; una direttrice di banca che decide di abortire; una mamma single inquieta, forse innamorata; due amanti, una delle quali in fin di vita; due sorelle dal complesso ménage. Niente paura, non si tratta della scaletta della prossima puntata di un varietà televisivo, anche perché tutte queste donne non sono ciò che sembrano, o, per meglio dire, non vogliono sembrare ciò che sono. Trincerate dietro impeccabili maniere "professionali" (da medico, ispettore, madre), sostenute da sorrisi che sembrano quasi smorfie di dolore, intrappolate dalle convenzioni, dalle passioni, dalle paure, queste "donne moderne" non sono meno fragili e tormentate delle altre rappresentanti del sesso femminile che attraversano il film (una vecchia bisognosa di assistenza continua, una bambina cieca, una barbona, una malata in fase terminale): su di loro vediamo all'opera, silenziosi e inarrestabili, i desideri, le pulsioni, anche le meno nobili, le frustrazioni, i tradimenti, le difficoltà del comunicare che affliggono ogni essere umano. Se i maschi non sono che smidollati insensibili o adolescenti apatici, devono essere le donne ad affrontare le situazioni realmente dure, e come se non bastasse devono fingere che ciò sia tutto quello che desiderano. Il titolo originale del film è un falso indizio: non possiamo dire nulla di certo sulle donne (o su chiunque altro) semplicemente guardandole, magari di sfuggita, perché l'essenziale, ancora una volta, è invisibile agli occhi, e la stessa regola vale per il dolore. Nei pianti solitari e nei silenzi, più che nei dialoghi, si sviluppano cinque storie fittamente intrecciate, per tematiche e personaggi, tanto da formare una sorta di "Pulp Fiction" agrodolce e spietato, straziante ma non privo di humour. Altamente suggestiva la trovata di far comparire in ogni episodio una stessa figura di donna, muta e dal passo incerto, segnata al pari delle altre da un destino tragico, la cui storia, solo immaginata, in un passo di enorme drammaticità, da una delle protagoniste, diviene l'emblema della parabola esistenziale di tutte e sette le donne. Un materiale di partenza eccellente, dunque: ma il regista e sceneggiatore vuole strafare, e tenta di ibridare il dramma da camera europeo, composto, ellittico e geometrico, con la vena barocca, sospesa tra verosimiglianza e allucinazione, dettaglio e estasi, eleganza e brutalità, dei romanzi di suo padre Gabriel Garcia Marquez, dimenticando che ciò che è perfetto in un romanzo ben poche volte risulta l'ideale anche al cinema. Inoltre, le invenzioni "poetiche" (il nano) letteralmente appiccicate al plot, unite all'intenzione (palese) di finire in gloria per l'edificazione dello spettatore, rendono il tutto più prevedibile e anche un po' irritante. Per fortuna ci sono le attrici: se escludiamo la Golino, migliore del solito ma minata da una voce infausta, è difficile scegliere tra la tranquilla depressione di Glenn Close, la sorridente incapacità di amare di Holly Hunter, la rabbiosa passione di Calista Flockhart e l'affettuosa rivalità che lega le sorelle Amy Brenneman e Cameron Diaz. Davvero un magnifico lavoro di squadra.