Horror

LE COLLINE HANNO GLI OCCHI 2 (2007)

Titolo OriginaleThe Hills have Eyes II
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Genere
Durata89'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Un’unità di soldati della Guardia Nazionale viene inviata in un avamposto in Messico per rifornire di materiale un gruppo di fisici nucleari. Quando arrivano all’isolato campo di ricerca, però, lo trovano misteriosamente deserto. La squadra, scorgendo segnali luminosi dalle colline circostanti, decide di avventurarsi in una missione di ricerca per localizzare gli scienziati scomparsi, ignari che ad aspettarli ci sarà una tribù di cannibali mutanti.

RECENSIONI

In principio fu Wes Craven, che con il sopravvalutato capostipite del 1977 contaminò il triste destino della famiglia Carter, perdutasi nel deserto del New Mexico, con la critica sociale (l'abominio è la diretta conseguenza di esperimenti atomici autorizzati segretamente dal governo). Il successo fu tale che ci fu anche un seguito, sempre diretto da Craven, nel 1985, ma il film, massacrato dalla critica e poco apprezzato anche dal pubblico, in Italia non è mai arrivato. L'ondata di rifacimenti dei pilastri horror degli anni Settanta, inaugurata nel 2003 dal clamoroso successo globale del remake di Non aprite quella porta (operazione prettamente commerciale ma più che dignitosa), ha toccato anche il film di Craven che, nelle mani del talentuoso Alexandre Aja, è diventato un solido horror dove l'assenza di originalità è compensata da conflitti credibili, personaggi interessanti e tensione costante. L'immancabile appendice, invece, vaga totalmente nel superfluo e questa volta l'esigenza di battere cassa si scontra con un deprimente vuoto di idee. La situazione di partenza è quanto mai banale - un gruppo di soldati della Guardia Nazionale chiamati in ricognizione nei luoghi infestati dai mutanti cannibali del primo film - ma è anche mal supportata dalla sbrigativa sceneggiatura di Wes e Jonathan Craven (padre e figlio hanno scritto il copione in trenta giorni). La carne da macello è infatti di rara insipienza, con una combriccola di giovani, per lo più bellocci e dalla dentatura perfetta, che non si vede l'ora che abbandoni definitivamente lo schermo. Il prevedibile conto alla rovescia risparmia i più virtuosi, ma è davvero difficile trovare un'empatia con personaggi il cui massimo approfondimento è costituito da battute da caserma e conflitti riconducibili a un unico aggettivo (si può, nel momento in cui ti trovi un uomo uscire di colpo da un water, gridare "Ma chi e? Merdan il barbaro?"). L'assenza di sfumature toglie interesse al lato umano, ma anche quello disumano non è che offra granché. I mutanti cannibali, infatti, non si limitano a difendere il proprio territorio e a fare provvista di cibo fresco, ma paiono godere con sadismo della loro cattiveria. Tutto all'insegna dell'eccesso, quindi, ma talmente marchiano da diventare caricaturale, e perciò soporifero. Purtroppo il regista di videoclip Martin Weisz sa dove mettere la macchina da presa ma non è altrettanto bravo nell'imprimere tensione agli sviluppi, che si succedono nell'anonimato nonostante gli sforzi di Sam McCurdy (lo stesso del riuscito The Descent) nell'illuminare con mestiere il buio di grotte e cunicoli. Come sempre più spesso accade, poi, per supplire alla mancanza di spunti persuasivi si ricorre alla violenza. Dosi massicce di gore (un parto bestiale, uno stupro, sbavazzamenti vari, mutilazioni, torture, smembramenti) si rincorrono, però, senza un reale perché e cadono nel vuoto insieme ai vistosi buchi di sceneggiatura (che fine fa il freak buono che aiuta i protagonisti nella fuga?). A completare la sconsolante desolazione del quadro anche la superficialità dei riferimenti politici. Attraverso alcune battutine si infierisce sull'attuale amministrazione, i più ragionevoli, animati da uno spirito moderatamente pacifista, finiranno per salvarsi mentre per trogloditi ed eroi non c'è alcuna speranza. Questa facciata ruffianamente eversiva, però, cela la solita esaltazione della guerra come soluzione di tutti i problemi, finendo per dare ai fatti consistenza diversa, per non dire antitetica, rispetto alle parole.