TRAMA
Spagna 1939: una serie di giovani ragazze dall’attività antifranchista alla condanna al patibolo. Restano note come “le tredici rose”.
RECENSIONI
Le 13 Rose è un memory movie. Costruzione dell'eroismo per immersione in un mare di lacrime, questo ripropone il nodo della singola concezione cinematografica: accogliere o respingere oltre 2 ore che hanno come unico obiettivo il Ricordo. In virtù della consegna, lampante dai titoli di testa (foto in b/n che acquistano colore e diventano materia filmica: più chiaro di così), Emilio Martinez Làzaro prova a concentrare l'attenzione sulla sostanza e mettere sullo sfondo tutto il resto: la ricostruzione d'epoca, che al massimo sfiora il romanzone popolare (il pane distribuito dagli aerei), la successione dei fatti - limitata al doppio gioco fascisti/partigiani -, le prestazioni attoriali rischiosamente altalenanti, ma soprattutto i clamorosi numeri della sceneggiatura. "A che serve la pace senza dignità?", "Non portare rancore verso i carnefici", "Che il mio nome sia ricordato!", alcune delle perle regalate dallo script a sei mani. Così la pellicola è un lungo patchwork di battute antinaturalistiche che, ascoltate in presa diretta, nei fatti smontano l'alibi delle buone intenzioni: domina il presupposto della verità degli eventi, ma nessun personaggio credibile userebbe questo tono; nessuno avrebbe tale consapevolezza della propria fase politica da definirla esattamente; mai si chiederebbe esplicitamente di entrare nella Storia. Tante sono le imbeccate informative allo spettatore che, dopo l'ennesima ripetizione, finiscono per produrre un grave strappo stilistico: da una parte le Rose vivono la trama, dall'altra si rivolgono al pubblico per spiegarne il sottinteso. E il film crolla, ma non era inevitabile: anche la retorica del ricordo può avere personalità definita e toni peculiari, come ha appena dimostrato Andrzej Wajda, con l'eccesso patetico e la studiata deriva drammatica di Katyn. Ma è tutta un'altra memoria.