Drammatico, Recensione

L’AVVOCATO DE GREGORIO

TRAMA

L’avvocato De Gregorio, caduto in disgrazia trent’anni prima, ritrova dignità umana e fiducia nel proprio lavoro aiutando una giovane donna ad avere giustizia della misteriosa morte sul lavoro del marito operaio.

RECENSIONI

L'ultimo film di Pasquale Squitieri è strano, mette addosso una sensazione di rigetto e insieme incuriosisce. Respinge la mente, attira una coscienza civile e umanistica che ha ben poco a che fare con il cinema contemporaneo, con la contemporaneità. È possibile, è davvero possibile che la borghesia delle immagini non esista in questo ritratto di verità di lotta per la sopravvivenza? No, è impossibile. Il cinema del post-moderno ha eletto i propri rappresentanti sulle alte vette raggiunte dalla perfezione dell'immagine, dove la rarefazione del pensiero impedisce all'arte della parola il respiro profondo, e l'immensità dello sguardo sprofonda la percezione della realtà in un paesaggio indifferente. No davvero, il film di Pasquale Squitieri non può essere cinema. È qualcosa di altro. Prima di tutto il film di Squitieri sta al cinema come il Sud del mondo sta al mondo. Povero, sincero, ingenuo. In secondo luogo è un film che ha il coraggio virile della lotta e della costanza per il cambiamento. Nell'era della perfetta intercambiabilità dei sentimenti (Muccino) e dell’eterna giovinezza dei corpi (televisivi), che cambiano sempre per non mostrare nessun cambiamento, Squitieri racconta la storia di un uomo (brutto e vecchio) che ha la forza di ritrovare se stesso attraverso la degradazione e la rinascita. In ultimo, il film di Squitieri possiede la parola. In un momento culturale in cui la visibilità della merce ha trasformato la comunicazione in prodotto di sguardi, e la parola in un inestetismo, L'avvocato De Gregorio è un film che parla più di quanto sia in grado di mettersi in mostra. La cultura borghese e il prodotto industriale per eccellenza, la vetrina, è stata scardinata, l'esercizio della bella forma è stato forzato dall'interno, la parola ha deformato i corpi, gli ambienti, l'idea stessa di civiltà. È ritornata la società, è tornata la lotta, è tornato il proletariato. L’Avvocato de Gregorio è un film d’impegno civile che si schiera apertamente dalla parte del Sud, della gente di Napoli, di tutti gli oppressi. Ed è un film che racconta come sia possibile una redenzione e una rivincita attraverso la forza dell’individuo e della solidarietà. La volontà d’impegno civile si fonde sul piano formale con la ricerca di realismo: nella composizione delle scene (scenografie ridotte al minimo e molto spazio agli esterni), nel registro linguistico dei personaggi (spesso prevale il dialetto napoletano), nell’utilizzo della fotografia (luce naturale). Ma se nel film il contenuto, la forza della verità, prevale sulle forme tanto da trasformare l’imbruttimento dell’avvocato in rinascita, Squitieri non riesce a rendere altrettanto coerente questo assunto a livello formale. Prevale nel film una retorica delle immagini ingenua e scontata che segna numerose cadute di stile, basata su una “povertà” di procedimenti (montaggio connotativo, primi piani, soggettive), e su una serie di risultati ad effetto (la sovrimpressione del protagonista con il crocifisso, gli insistiti rallenti). Ma a Squitieri interessa il livello culturale della storia non quello artistico. Da questo punto di vista il significato della rinascita e della rivalsa di un uomo diventa il vero tema portante del film, e L’avvocato De Gregorio si presenta come una risposta al neorealismo (Umberto D.), di cui ripropone la vocazione alla rappresentatività del reale in quanto tale, ma di cui ribalta il finale, con la vittoria umana e professionale dell’avvocato, e abbandona la coerenza, con risultati formali discutibili. La forza del film di Squitieri è però altrove. Prima di tutto nel coraggio di rappresentare Napoli come città della gente e del caos, e allo stesso tempo di grande cultura e orgoglio. Squitieri esplicita il suo amore per la sua città, e la direzione del suo sguardo, subito nella prima scena: con un montaggio connotativo associa la panoramica dall’alto della città con la confusione, il disorientamento delle voci e dei volti della gente all’interno di un’aula di tribunale. In mezzo a tanta disunione l’arte della parola del vecchio avvocato non può nulla di fronte alla tecnologia e all’organizzazione della legge. Se è dalla disunione e subordinazione che prende il via la parabola di redenzione dell’avvocato De Gregorio, è attraverso la forma retorica più antica e potente, l’eloquenza, e la sua capacità di catalizzare la solidarietà della gente, che il percorso di rinascita del vecchio si compirà. La seconda componente, oltre la vocazione civile, più forte del film di Squitieri è proprio la cultura umanistica, presente dall’inizio alla fine: Shakespeare (citato già nella prima scena), ma soprattutto il più grande oratore e avvocato della tradizione latina: Marco Tullio Cicerone, cui Squitieri dedica un primo piano di un dipinto, e all’ars dicendi del quale è affidato il compito di risvegliare la dignità e l’orgoglio del protagonista. Attraverso la sua ritrovata fiducia De Gregorio applicherà una sorta di concordia ordinum dal basso per avere ragione dell’apparato mafioso, e della burocrazia dello stato, e per restituire finalmente la vittoria alla giustizia e ai più deboli. Un altro punto di forza del film di Squitieri è indubbiamente l’ottima interpretazione di Giorgio Albertazzi (premiato con "Federico Fellini otto e mezzo platinum award" al Festival Europacinema di Viareggio), che riesce a regalare al protagonista grande intensità e profondità. Film contrastato (il progetto risale a trent’anni fa), pensato prima per Vittorio De Sica, poi per Eduardo De Filippo, e a rischio di distribuzione (doveva uscire ad ottobre/novembre ed è poi slittato al 7 marzo), il film di Squitieri rischia di non essere visto, ma soprattutto di non essere ascoltato. E sarebbe un peccato, ma d'altronde un film che parla bene e si veste male non è cinema. È anche qualcosa d’altro.