TRAMA
Saverio Crispo, il grande attore del cinema italiano, è morto dieci anni fa. Le sue figlie, avute da donne diverse in altrettante parti del mondo, si radunano nella grande casa del paesino pugliese dove l’attore è nato
RECENSIONI
Grande metafora: il centro del film è l'assente Saverio Crispo, (il trapassato: il grande cinema che fu), il divo sciupafemmine nella cui maschera, con ovvio citazionismo, si fa convergere quella delle stelle nostrane del nostro passato in celluloide, da Mastroianni, a Volontè, da De Sica a Gassman. Le celebrazioni della sua carriera, a dieci anni dalla morte, costituiscono lo spunto narrativo che dà l'abbrivio, attraverso una narrazione dettata dall'esigenza di toccare diversi punti di questa grandezza decaduta, a un fuoco di fila di omaggi e strizzatine d'occhio alla storia della cinematografia italiana.
Grande metafora, certo, ma involontaria, perché assente, in Latin Lover, è, come Crispo che lo rappresenta, il cinema - grande piccolo o medio -, ridotto a fantasma che si aggira tetramente in un lavoro falsamente leggero e veramente pretenzioso. Perso in una scrittura fallimentare, il film convoglia, nel paradigma usurato della riunione di famiglia (le cinque figlie di altrettante madri, perché ogni film della Comencini è donna), dialoghi, confronti e conflitti, schegge di passato da rimettere insieme, traumi infantili che riemergono, il tutto a disciogliersi in una sfocata fantasia di toni e rievocazioni di generi, abitata da macchiette di sconsolante pochezza, tra sessismo in filigrana e agnizioni ridicole a giustificare l'estenuato dibattersi della narrazione.
Ricostruire l'immagine del Grande Seduttore significa rimettere insieme, dunque, quella sbiadita (lo si ribadisce, perché lo ribadisce il film a ogni scena) di un grande cinema che si rimpiange facilmente guardando questo Latin Lover, che è TV a pagamento da fruire in sala, molto convinta di sé e della nostalgia di cui si fa inevitabile tramite.
Cast allo sbando in cui, guarda un po', a Veleria Bruni Tedeschi si affida il ruolo della depressa, e ad Angela Finocchiaro quello della nevrotica e in cui brilla davvero solo la disinvolta bravura di una Virna Lisi alla sua ultima interpretazione.