TRAMA
June Buckridge, stagionata attrice televisiva, interpreta da anni il ruolo dell’infermiera Sister George nella longeva serie Applehurst della BBC: cordiale e casta nella finzione, nella vita reale ha un carattere inacidito dal vizio dell’alcool e vive insieme all’amante Alice soprannominata ‘Childie’. Un po’ per le intemperanze sul set (e fuori) e un po’ per il calo di popolarità del personaggio, l’attrice viene gradualmente estromessa dallo sceneggiato, mentre Alice entra sempre più in confidenza con Mrs. Croft, melliflua dirigente della BBC, finendo per preferirla all’intrattabile compagna. Umiliata sentimentalmente e squalificata professionalmente, la disperata June si sfoga contro gli studi televisivi, penetrandovi nottetempo e sfasciando tutto ciò che le capita a portata di mano.
RECENSIONI
1968: forte degli straordinari incassi di Quella sporca dozzina (1967), Robert Aldrich acquista i suoi studi cinematografici con l'intenzione di produrre tra gli otto e i sedici film in cinque anni. L'impresa si rivelerà esaltante e azzardata al tempo stesso, poiché nel 1973, in seguito all'insuccesso di Grissom Gang - Niente orchidee per Miss Blandish (1971), il regista e produttore americano sarà obbligato a vendere gli Studios per evitare altre perdite di denaro. La prima produzione degli Aldrich Studios è L'assassinio di Sister George, adattamento di una fortunata commedia teatrale scritta da Frank Marcus nel 1964 e andata in scena prima a Londra poi a Broadway. Spalleggiato dallo sceneggiatore di fiducia Lukas Heller, Aldrich apporta significative modifiche al copione di Marcus, trasferendo la serie Applehurst dal mondo della radio a quello della televisione e decidendo di mostrare apertamente la scena di erotismo saffico tra Mercy Croft (Coral Browne) e Alice 'Childie' McNaught (Susannah York).
Entrambe le variazioni rispondono perfettamente alla poetica del regista, dandogli l'opportunità di versare acido su quel sistema televisivo che conosce a fondo per esservisi formato artisticamente nei primi anni Cinquanta e offrendogli l'occasione di violare il tabù del sesso lesbico che scandalizza e intimidisce la morale cinematografica del periodo (non a caso Angela Lansbury, prima scelta per Sister George, rifiutò la parte e Frank De Vol, compositore fidato di Aldrich, abbandonò il set disgustato durante le riprese della scena più scottante del film). L'attacco allo spietato apparato della televisione e al moralismo dell'etichetta hollywoodiana si inserisce nel più ampio discorso della salvaguardia della diversità tipico del cinquantenne cineasta americano, discorso che in questa fase della sua carriera raggiunge probabilmente il suo apice.
Dopo la missione suicida di Quella sporca dozzina e l'altrettanto nefasto mimetismo di Quando muore una stella (The Legend of Lylah Clare, 1968), Aldrich utilizza il set televisivo quale cristallina allegoria del potere: le decisioni su chi deve restare nella serie vengono prese dai vertici in base a calcoli utilitaristici e si ripercuotono sugli attori senza che questi possano opporvisi. Mai chiaramente identificabili, le alte sfere decidono arbitrariamente e i singoli non hanno altra alternativa all'infuori di sottostare alle insindacabili e inappellabili disposizioni dei superiori: in un microcosmo come Applehurst il peccato capitale è la diversità, l'individualità. E la navigata June (Beryl Reid, anche protagonista della commedia teatrale) ne è pienamente consapevole: "Applehurst è più di un villaggio, lo sai, è un modo di vivere, non dipende dagli individui", sibila amara a Childie, guardando dritto in macchina nell'unica inquadratura frontale di un dialogo girato in campo/controcampo. Cambiano ambientazioni e territori (guerra in The Dirty Dozen, cinema in The Legend of Lylah Clare, televisione in The Killing of Sister George), ma non mutano le logiche del potere e le strutture portanti della sua rappresentazione: apparati impersonali che considerano gli esseri umani in termini di rendita, mandando al massacro i diversi.
Ma ciò che rende June Buckridge un personaggio lacerato, sconfitto in partenza, letteralmente tragico è la contraddittorietà della sua ribellione: malgrado l'ostentata irriverenza con la quale irride e insulta l'establishment, è lei la prima a identificare la propria sopravvivenza con quella del personaggio interpretato in Applehurst. Chiamata Sister George persino dalla compagna, June ha inconsapevolmente interiorizzato i protocolli del potere: la sua rivolta non può che assumere la forma del capriccio (le fughe non autorizzate dal set), del dispetto infantile (le smorfie fatte ai colleghi durante le riprese dell'incidente) o della scenata esibizionistica (le sbruffonate in occasione del suo congedo dallo sceneggiato). Di fatto, la sua euforia e la sua furia sono confinate nei limiti della finzione, calco interiore dell'istituzione alla quale si ribella: festeggia travestita da Ollio il provvisorio reintegro nella serie ed è sul set televisivo che sfoga la sua rabbiosa disperazione, per poi crollare su una panchina e muggire ripetutamente (segno della definitiva immedesimazione nel ruolo bovino propostole dalla BBC in un programma per bambini). In apertura e chiusura di film, Aldrich esprime visivamente sia l'identificazione tra la visibilità e la sopravvivenza sia la totale dipendenza di June dalla dimensione televisiva: durante i titoli di testa le inquadrature si susseguono orizzontalmente, prendendosi per così dire a spallate (a suggerire l'urgenza di rimanere in quadro: per Sister George finire fuori campo significa morire); i titoli di coda scorrono su uno stop frame che occupa soltanto una porzione minima dell'immagine mentre il resto del quadro è completamente oscurato (una microinquadratura imprigionante: l'esistenza di June è letteralmente relegata in un piccolo schermo).
Il resto della pellicola si dispiega invece su una rappresentazione articolata in tre piani: il serial televisivo negli studi della BBC (recita collettiva in cui i personaggi appaiono l'esatto contrario di quello che sono), la realtà domestica (teatro intimo in cui Sister George e 'Childie' inscenano il loro dramma privato) e le riprese dal vero a Londra (le strade trafficate e il Gateways Club, autentico locale lesbico in cui furono utilizzate come figuranti le abituali frequentatrici del club). Se sul set di Applehurst il film assume movenze smaccatamente televisive (risate fuori campo da sitcom, dettagli sui monitor, zoom in soggettiva), è lo stile complessivo a risultare imperniato sulla grammatica catodica: L'assassinio di Sister George imbastardisce il linguaggio cinematografico con una messa in scena che riduce all'essenziale i totali e le inquadrature larghe per concentrarsi quasi esclusivamente sui primi e primissimi piani, infondendo alla visione un'atmosfera claustrofobica e asfissiante. Eppure, nonostante la compressione degli spazi e la ristrettezza delle distanze ottiche, Aldrich non rinuncia alla consueta molteplicità dei punti di vista, scegliendo angoli di ripresa sfalsati (in moltissimi dialoghi i personaggi sono collocati ad altezze differenti, guardandosi dall'alto in basso e viceversa) o piazzando la macchina da presa in punti periferici, quasi a spiare la scena (il salotto di June e Alice osservato dallo sportello della cucina, le inquadrature da dietro la testata del letto sulla concupiscente Mrs. Croft). Ne scaturisce una sensazione di instabilità e inquietudine che, complice l'illuminazione fortemente direzionata di Joseph Biroc, serpeggia silenziosa per tutto il film e avvolge i personaggi principali, comunicando allo spettatore un'angoscia latente sempre sul punto di esplodere - o meglio implodere - in suicidio.
A causa del nuovo rating system messo a punto dalla Motion Picture of America Association (adottato nel novembre del 1968, tra l'inizio e la fine delle riprese del film), The Killing of Sister George ricevette la classificazione X, marchio che lo assimilava ai film pornografici, vietandone la visione ai minori di diciassette anni e riducendone drasticamente il potenziale commerciale. Il regista e produttore ingaggiò una costosa battaglia legale per la conversione dell'X-rating in R (restrizione alquanto severa ma meno punitiva di quella affibbiata dalla MPAA), acconsentendo perfino a tagliare la scena di sesso tra Mrs. Croft e Alice, ma la causa fu respinta e il film andò incontro al suo infausto, ineluttabile destino: il fiasco.
