TRAMA
Vicissitudini di Larry Flynt, editore di una rivista porno contro cui si scagliò la Morale Pubblica.
RECENSIONI
Dopo tre opere in costume, Milos Forman torna a un più genuino cinema "contro", con inni a quella Libertà a lui tanto cara da quando dovette lasciare la patria invasa dai sovietici. Lo fa con l'aiuto del produttore Oliver Stone di Nixon e degli stessi sceneggiatori dell’Ed Wood di Tim Burton, rivalutando un personaggio scomodo, hippy/progressista pioniere del porno, alieno “illegale” sin da piccolo (distillava alcol durante il Proibizionismo). Su di lui l’autore non scava psicologicamente, non cavalca il passaggio da mercante del sesso a predicatore delle libertà civili, non ricama sul collegamento fra dissacrazione oltraggiosa e vissuto da impotente, in quanto più interessato al simbolo che all’uomo, alla pedina per un'arringa sulla Morale e la Legge che arriva in tribunale ma, per fortuna, non si esaurisce in un banale dramma giudiziario, per quanto il cinema di Forman, a Hollywood, si sia spesso dibattuto fra codici convenzionali e tocchi personali. Contro le aspettative, l’opera va in crescendo, più complessa che in apparenza, anche perché Forman, a differenza di Tim Burton, più che di eccessi tematici trasfigurati in uno stile debordante, gioca di grottesco nella sola recitazione (grandi sia Woody Harrelson che la rockstar Courtney Love), mentre scaglia la sua satira feroce su di un piano figurativo il più possibile realistico, dove operare con significativi tocchi di classe (il salto temporale con il telecomando, Hollywood come habitat dei pervertiti). Larry Flynt (che compare nei panni del primo giudice, il più intransigente) diventa, a suo modo, un genio incompreso dell’ultima frontiera/tabù, un Cristo martire, un Kennedy sotto attentato, il capro espiatorio della morale ipocrita (anche quella del patinato Playboy), un simpatico furfante segnato da paralisi e amour fou, un "folle" al potere come ai bei tempi di Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo.