TRAMA
Milano: una coppia in crisi, un’infermiera ‘sciupauomini’, un dottore che si licenzia e non ha il coraggio di confessarlo alla moglie.
RECENSIONI
Il secondo lungometraggio di Silvio Soldini è disseminato di sintomi di un malessere figlio del benessere occidentale, di piccoli punti di rottura con la finta serenità, con un'esistenza arida poiché presa dai suoi problemi minimali, incurante delle notizie "off" dei notiziari, che testimoniano di sconvolgimenti politici e sociali altrove. È arida anche perché segnata da false rivoluzioni e pusillanimi tentativi di cambiamento: i finali amari/deprimenti indicano che nessuno dei personaggi seguiti in montaggio parallelo è riuscito a sovvertire il proprio quotidiano, a prendere in mano una situazione vissuta come insostenibile. Una pellicola ammirevole nei suoi incroci casuali (il "giro" che fa l'agendina) dettati da un destino crudele e cosciente: tutte le trame sono emblematiche nel quadro di un cinema simbolico e morale che lascia la parola all'intensità delle immagini, ai lunghi silenzi, agli sguardi fissi sull'ambiente. Viene in mente Kieslowski: l’occhio cinematografico indagatore e severo, poco enfatizzato e schematico, la fotografia (Luca Bigazzi) fra l'algido e il livido, l'attenzione per i volti, le recitazioni, i personaggi (senza fare uso di caratterizzazioni troppo puntuali), il Caso come Deus ex machina, senza volto né maschera, la cifra stilistica che lascia la materia narrativa come in sospensione, sicura che incastri, atti e segni vari arrivino matematicamente a dare un potente significato al tutto. Salutiamo la nascita di un nuovo grande autore.