TRAMA
Sidney. Otto persone, le cui vite si intrecciano, saranno tutte più o meno coinvolte dalla scomparsa della psichiatra Valerie Somers.
RECENSIONI
Le vite di nove persone si incrociano in vario modo: come le volute degli arbusti di lantana, che dietro un aspetto rassicurante e un'infiorescenza bella da guardare, celano spine aguzze, anche quelle relazioni nascondono, dietro la loro apparente tranquillità, carichi di enorme dolore e frustrazione. Le situazioni si accumulano, fanno emergere i sottili fili che legano i personaggi gli uni agli altri: la psichiatra Valerie Somers sembra essere il fulcro attorno al quale ruotano le invisibili dinamiche dei loro rapporti e quando la donna scompare tutti i nodi vengono al pettine, i legami si riallacciano e si spezzano - comunque si svelano - si incrociano i nessi, le sofferenze diventano fili scoperti.Non è davvero un thriller questo sorprendente film australiano o meglio, se tensione crea (e ne crea) non lo deve al suo risvolto giallo (che giallo si rivelerà non essere affatto), ma ai modi con cui va a scavare nelle psicologie dei caratteri, nello scandaglio impietoso degli anfratti della psiche: un thrilling spirituale che al posto di pistole tonanti e panico elettrico, usa solitudine e disillusione, miraggi amorosi e rammarichi amarissimi.
Ray Lawrence gira un film lacerante, complicato come la vita: non calca un tono, non sottolinea nulla, lascia che i collegamenti tra i personaggi vengano fuori attraverso la rappresentazione di un quotidiano assolutamente persuasivo, mai caricato, mai intellettualizzato. Parla di amore e tradimento senza mediazioni, mentre gli stati d'animo dei personaggi si scorgono come fitte abbaglianti in controluce.Abolita ogni facile spiegazione, lavorando su allusioni e raffinati inespressi, azzerate le didascalie, con un tono che ricorda il primo Egoyan, il film, d'intelligenza strutturale sopraffina, imbriglia lo spettatore e non cede un colpo e, con il gusto di una consapevolezza che alza il livello grado per grado ma implacabilmente, ci fa perdere nel fitto reticolo di rimandi e false piste, nell'amaro gioco di specchi e riflessi in cui ciascun personaggio, guardandone un altro, tira le conclusioni su sé e chi gli sta vicino.
Tratto dall'opera teatrale Speaking in tongues, sceneggiata dal suo autore Andrew Bovell, Lantana, una piccola grande scoperta di questa stagione, è la rappresentazione rigorosa di uno strazio autentico: a tenere unite due persone non è solo l'amore o il sesso, c'è anche l'abitudine, sotto cui serpeggia insoddisfazione, c'è il dolore, che implica la paura di restare soli con esso. Straziante è il dirselo, ammetterlo con se stessi, parlare con franchezza tutte le lingue della vita.
