TRAMA
San Paolo del Brasile, 1970: la vacanza “forzata” costringe i genitori a lasciare il piccolo Mauro dal nonno, ignari che è morto. Sarà il vicino ebreo a prendersi cura del ragazzino.
RECENSIONI
Papà è sempre in ritardo
Prodotta da Fernando Meirelles, per cui Hamburger ha diretto un episodio della serie “City of Men”, è l’opera autobiografica di un autore di cartoni animati e programmi televisivi per bambini (da cui la sua opera prima Il Castello di Ra-Tim-Bum). Vigo e Truffaut senza ribellismi, Central do Brasil senza ruffianeria, adotta magicamente/realisticamente il punto di vista dell’infanzia, che non sa, sente; che non giudica, subisce. La Storia (dalla nazionale di calcio campione del mondo alle persecuzioni politiche dei golpisti militari) è commentata dal senso dell’abbandono in “saudaje”, obliata nelle note agrodolci del gioco, degli affetti alternativi, dei doni che una vita vista come bicchiere-mezzo-pieno offre. La macchina da presa sta addosso al decenne dal viso innocente, crea un’intimità che permette allo spettatore di incamerare una soggettiva “fisica”, oltre a quella memoriale fatta di noia/creatività dove ogni oggetto insignificante diventa ricettacolo di fantasie. Soprattutto, lo sguardo di Hamburger non si piange mai addosso, filma le lacrime e la rabbia ma, più spesso, sottolinea l’entrata in campo di uno sconosciuto che dona amore (il vicino di casa, la bella barista, la bimba intrigante e gelosa, la comunità d’ebrei), di una situazione buffa (la prima colazione a base di pesce; il telefono portato a spasso per tutto il condominio; il business degli spioncini nello spogliatoio; il mito del portiere negro; il ballo scatenato alla festa), o tenera (l’indimenticabile abbraccio della “figlia del faraone”). In un’allegoria garbatamente sussurrata, Mauro (chiamato Moshalim/Mosé dal vicino, metafora a seguire…) rappresenta un Brasile abbandonato, in prigione (nell’appartamento insieme allo studente ricercato), ma coscienzioso, pronto, a differenza del resto del paese, ad abbandonare i festeggiamenti per la finale (con gioie trascinanti) per correre dai propri cari, ripromettersi di fare il “portiere” che non può sbagliare mai, in memoria di un padre che non tornerà (“È sempre in ritardo…”).
In Italia è stato distribuito insieme al corto Lettera d'Amore a Robert Mitchum, 2008, di Francesco Vaccaro, con Piera degli Esposti che legge la lettera del titolo e il montaggio sfuocato delle pellicole dell’attore: osceno (4).