TRAMA
Stanley White poliziotto pluridecorato viene chiamato dal NYPD a fare ordine a Chinatown; il giovane rampollo mafioso Joey Tai si sta conquistando il potere senza andare per il sottile. Inevitabilmente non si piaceranno e lotteranno con ogni mezzo.
RECENSIONI
Poche righe di corsivo non possono rendere conto di un poliziesco complesso e fascinoso come "The Year of the Dragon" in cui Michael Cimino fa esplodere i canoni del genere in ogni dimensione percorribile, geografica, temporale, sociale e culturale. Gli antagonisti mantengono alcuni tratti stereotipi, il poliziotto burbero e violento, il giovane mafioso poco politico, ma si definiscono lentamente in un viluppo di azione mostrata non tanto perché fondamentale nell'intreccio ma perché manifestazione plateale delle psicologie. La paura percorre ogni intreccio sociale, l'inaspettato saetta nelle sicure case di periferia come negli appartamenti hi-tech, ci si copre il viso davanti alle canne delle pistole, si muore contro muri, su reti metalliche, nei modi più atroci: disperante ma vero la spinta viene dalla furia, sono le reazioni animali, come colpi di frusta a far precipitare la situazione. Stanley White è un reduce del Vietnam, pluridecorato, in forza alla polizia di New York, gli viene dato l'incarico di mettere pace a Chinatown, entra in azione e comincia da subito ad affilare il rasoio su cui è in bilico, le bande cinesi gli uccidono la moglie, violenteranno la sua amante, giornalista e vietnamita, nulla di peggio per lui. Il mondo impazzisce intorno, microfoni sempre appiccicati in faccia, la calca irrespirabile della folla, porte abbattute nelle retate: ogni slancio si perde, le energie svaniscono alle porte di un quartiere in cui tutto è sempre stato così e lo sarà anche quando lui se ne sarà andato. A lottare, in una direzione distruttivamente opposta, Joey Tai che si spinge fino in Oriente per stabilire nuovi contratti per le forniture di oppiacei, un universo ancor più allucinante lo attende e saprà adattarvisi (memorabile l'episodio di Mamma Cocaina). Un turbine con gli occhi lampeggianti Mickey Rourke, nella sua interpretazione migliore, invecchiato, muscoli del viso sempre tesi, anima un personaggio di scontroso, che ignora la possibilità della vittoria, la sua lotta è continua. Dall'altra parte John Lone, elegante ed abile comanda le maree sanguinarie con sorriso imperscrutabile, ogni frammento gestuale è simbolo di potere. Nessuno vincerà. Chinatown è l'intreccio di equilibri saldati nell'inconscio sociale. Un duello a sancire un bel niente, l'onore delle armi è per la dignità d'uomo, l'uomo solo può salvarsi andando verso il nulla. Oliver Stone e Cimino sceneggiatori (a partire dal romanzo di Robert Daley) curano ogni dettaglio, i dialoghi sono stretti e pungenti; il regista conduce il gioco con abilità e senza vezzi, creando uno dei migliori polizieschi degli anni '80.

Ancora sindrome del Vietnam per Michael Cimino dopo Il Cacciatore: Mickey Rourke interpreta un veterano che ora combatte i "gialli" a Chinatown e alla sceneggiatura c'è un'altra anima tormentata, che quell'inferno non potrà mai scordarlo, Oliver Stone. Ispirati dalle pagine del romanzo di Robert Daley, producono un poliziesco di alta classe, disegnando un affascinante personaggio alla Sam Spade per Rourke, mentre la messa in scena di Cimino è potente, psicologicamente raffinata e sagace nell’analisi sociale del meltin’ pot: la comunità cinese americana accusò gli autori di razzismo, non capendo che il cuore pulsante e problematico del racconto è proprio quello di un antieroe che odia i gialli e finisce con innamorarsi di una di loro (la reporter televisiva di Ariane). Resta nella memoria la figuratività, con la fotografia di Alex Thomson che sposa i rossi e i blu e la scenografia che riproduce alla perfezione, in studi di posa, la piccola Cina. Dopo il cocente fallimento della partita doppia di I Cancelli del Cielo, Cimino non ottiene ancora i consensi meritati né fra pubblico né fra critica ma dimostra di saper consegnare un prodotto nei tempi e nel budget. Il produttore Dino De Laurentiis gli tolse il final cut e richiese ritocchi ai punti meno politicamente corretti della sceneggiatura.
