TRAMA
La tormentata storia d’amore tra Lancillotto, cavaliere della Tavola Rotonda appena rientrato dal viaggio fallimentare alla ricerca del santo Graal, e Ginevra, moglie di re Artù.
RECENSIONI
Nei clangori assordanti delle armature, trappole di ferro che rendono l'uomo schiavo della violenza, che lo disumanizzano trasformandolo in protesi fallibile di una diabolica ed infallibile macchina di morte che trascende ogni umano atto di coraggio e di bontà e che annienta ogni tentativo di fuga, in tali rumori di guerra c'è la concezione bressioniana della Storia come eterno ritorno di barbarie e di morte, perenne ripetersi di una medesimo disegno tracciato col sangue delle vittime di oggi, possibili carnefici di domani. Niente maghi, niente romanticismo wagneriano nella rapprensentazione, pudica, volta a mostrare ciò che resta del "puramente umano", del rapporto amoroso tra Lancillotto e Ginevra, niente trionfalismi o retorica (certo quello che avrebbe voluto il produttore) nella descrizione delle battaglie ma solo un insostenibile senso di morte (dell'Uomo), di fine (del Mito), ed un silenzio (di Dio) che solo nel cinema di Bresson è così assordante. Non è un caso che il film si apra con il mancato ritrovamento del Graal, simbolo del non intervento di Dio nelle vicende umane dominate dal Male. Di quel "processo di sottrazione" (del visibile, dell'umano) che contraddistingue l'affinamento dello stile del regista nel corso degli anni e dei film, questo "Lancillotto e Ginevra" rappresenta uno degli esiti estremi. La volontà del regista di concentrarsi sull'essenza delle cose umane e non umane (nell'ultimo Bresson si giunge ad una sostanziale indifferenza tra esseri e cose a causa del progressivo annullamento dell'umano sottoposto sempre di più alla "dittatura dell'oggetto") e non sulla loro apparenza, lo fa giungere ad una forma cinematografica che sfiora l'astrazione (dettagli su dettagli, rumori su rumori, senza apparente connessione) ma che paradossalmente risulta essere l'unica in grado di dare unità alla miriade di frammenti irrelati della proteiforme e caotica realtà. Se la Verità sta nella suprema Unità allora Bresson ci ha mostrato, in questo film, la verità del/sul Mito (e lo ha fatto, in sostanza, negandolo).
