Drammatico, Sala

L’AMORE BUIO

TRAMA

Irene, appartenente alla Napoli altolocata, subisce uno stupro di gruppo. Ciro, uno dei violentatori, denuncia sé e i propri complici, finendo in carcere. Vittima e carnefice intraprenderanno un percorso di rinascita individuale, legati inevitabilmente l’uno all’altra.

RECENSIONI

L'amore buio è una storia di cecità. E racconta di uno stupro. La Napoli dell'alta borghesia equella del popolo entrano in contatto attraverso una violenza carnale: Capuano dipinge ritratti minuziosi, indaga con sguardo etico il fattore umano, guarda all'individuo, rendendo l'uomo materia concreta di un discorso politico e sociale di dolorosa puntualità. Nessuno come il regista napoletano sa raccontare la propria città per quella che è: il degrado, la lotta quotidiana per la sopravvivenza, la malavita che è il vero Stato, il vero Stato che è solo un' assenza, l'ambiente accademico che considera l'estero come unica speranza, le classi agiate che sembrano ignorare quello che avviene nel contesto in cui vivono, salvo scoprirlo per caso, scoprire che l'ultima generazione, persa nel proprio benessere si è di fatto allontanata dal popolo. I quartieri non sono che un rimosso: l'incontro tra due mondi così innaturalmente separati non può che avvenire attraverso un trauma, un lampo che getti luce nell'inconscio, che ribadisca la voragine che separa le due dimensioni. L'amore buio si muove con coraggio raro su di un territorio pericolosamente instabile: il rigore morale con cui Capuano affronta il tema ostile della violenza sessuale convive con l'assoluta necessità di questa violenza nell'ordine simbolico; il crimine più deprecabile significa l'unica possibilità di un incontro vivo e pulsante tra livelli sociali, lo shock sensoriale che mina una stabilità autistica, anaffettiva. E cieca. Il campo/controcampo che chiude il film, gli occhi della vittima che scrutano quelli del carnefice, racconta dunque di un percorso umano compiuto, mentre chiude perfettamente il discorso simbolico enunciato: come se a Napoli, oggi, per ritornare a vedere, fosse necessaria una ferita corporale così profonda da destabilizzare ogni nebbia narcisistica e sovrastrutturale dell'intelletto, ogni omertà, ogni convenzione.

Lontano dai prontuari di pensiero e dall'etica in pillole del cinema engagé di casa nostra, Capuano affronta un tema ostico facendo polvere della retorica, giungendo ad una complessità di sguardo a cui lo splendido titolo del film, che irradia una moltitudine di significati possibili, rende giustizia: il regista fotografa con esattezza i microuniversi che mette in scena, noncurante di soddisfare canoni estetici accomodanti dà spazio alla carne come alla patina opaca della superficialità, quando necessario sposa la voce della volgarità, restituisce temi, personaggi, sentimenti nella loro dimensione più viscerale, dando ad ogni aspetto il respiro che richiede, la rappresentazione che esige nel profondo, senza abbellimenti di sorta, senza facili pre-digestioni. Retorico quando i personaggi si conformano alla retorica, capace di parlare un linguaggio formale basso senza facili catarsi parodiche, senza paura di scottarsi in un ridicolo che è tale solo per chi non sa riconoscerne la vera anima. Kitsch al kitsch, algido all’algido, nella forma l'odore della sostanza, senza alibi, senza grazie: Capuano è un cineasta dell'immediatezza, fisico, sa che la contaminazione è la materia di cui è fatto l'oggi (qui riferimenti alti convivono con videoclip da emittenza locale, personaggi pubblici alimentano la fiction, Antonioni si specchia in Pasolini con neomelodici in sottofondo), espressionista per radicale scelta politica, massimalista, lontano dalla contemplazione individualistica e impressionistica di ritratti minimali. Il suo è un cinema che urla, ma non per questo si fa semplicistico: coglie miserie e nobiltà di ognuno dei suoi personaggi, mette in scena l'anima poliedrica e contraddittoria di una città. E si astiene sistematicamente dal giudizio. L'amore buio conferma il talento imprescindibile di un autore unico, il solo in questo paese a misurarsi costantemente con argomenti ardui, scomodi, crudi, legati a età e mondi altrettanto malagevoli come l'infanzia e l'adolescenza nel fu sottoproletariato pasoliniano, il solo a non scialacquare parole previste sul tema, ma a fare dell'immagine il principale strumento dialettico e del linguaggio verbale un aspetto (seppure consistente) di un tutto.

Giulio Sangiorgio & Luca Pacilio