Drammatico

L’AMANTE DEL PRETE

Titolo OriginaleLa faute de l’abbé Mouret
NazioneFrancia
Anno Produzione1970
Durata82'

TRAMA

Il nuovo parroco di un paese di campagna perde la memoria e s’innamora d’una ragazza.

RECENSIONI

Georges Franju si misura con l’Emile Zola di “La faute de l’abbé Mouret” e infonde nel testo fortemente anticlericale (torna il Franju bunueliano) quel quid di sognante ed angoscioso che, da sempre, caratterizza la sua poetica. Al di là della riflessione sul peccato ed il piacere (con tanto di allusione iniziale alla lotta di classe), è più stimolante la possibile lettura bifronte data dal regista: chi è il demone tentatore? La bella “pagana” o il prete conservatore? Il simbolo di un ritorno alla natura (umana?) che si veste di fiori nel nuovo Giardino dell’Eden o l’uomo intransigente, finanche misogino (disprezza anche la Madonna)? E Dio da che parte sta? Forse solo l’ottusità e l’astio rendono probi, la sensibilità e la bontà, invece, sono immancabilmente tentate dal peccato. Forse l’Eden non è “appassito” a causa del peccato originale ma perché l’uomo, assalito dal senso di colpa, ha puntato il dito contro la donna. Franju non urla la propria posizione, lavora la questione ai fianchi e pone una scelta: da un lato ci sono la morte (l’adorazione del Cristo in croce), la (in)felicità del masochismo, la mancanza di luce in un’esistenza votata al sacrificio, dall’altra ci sono la vita (la carne, il piacere), l’amore terreno, il colore. Solo la scena del taglio dell’orecchio, alla stregua dell’apostolo Pietro, dà un chiaro segnale allegorico: questa volta Dio non interviene e sottoscrive l’ira dell’ateo illuminista. La scena finale, invece, può apparire tanto romantica quanto ipocrita, nel momento in cui il sacerdote (un poco convincente Francis Huster) può finalmente adorare l’amata come una Madonna, perché non c’è più la carne di mezzo. E la perdita di memoria? Forse è un alibi inconscio, un maleficio del Diavolo, un dono di Dio, una prova di Dio, un dono del Diavolo. La parabola di Franju s’apparenta di più ad un raffinato horror della casa di produzione inglese “Hammer” (è simile anche la ricerca cromatica) che ad un ambizioso film d’autore: l’unico peccato certo è che soffre un poco di anemia e intona stonati dialoghi lirici alla ricerca della brechtiana distanziazione critica.