
TRAMA
Guy Haines, giovane campione di tennis, incontra in treno il ricco ed annoiato Bruno Anthony, che gli propone uno sconcertante patto…
RECENSIONI
Forse "Delitto per delitto" non è il miglior film del regista inglese (posto che abbia un senso qualsiasi tentare di stabilire un primato fra titoli come La finestra sul cortile, Intrigo internazionale, La donna che visse due volte eccetera), ma di certo è l'opera più hitchcockiana mai diretta da Hitchcock. In questo lavoro compaiono, potenziati da un ritmo che non lascia al pubblico alcuna via di scampo, tutti i temi cari all'autore, dall'innocente costretto a dimostrare la propria estraneità ai delitti di cui è accusato all'ossessione per i defunti (e più in generale, gli eventi del passato) che tormentano i sopravvissuti presentandosi sotto nuove, non dissimili spoglie. Ma, più ancora che in altre opere, risulta notevole il modo in cui il regista mette in dubbio la legittimità di una netta distinzione tra bene e male, dinamitando, senza averne l'aria, le certezze della vita quotidiana.
Consideriamo l'incipit: una stazione ferroviaria qualunque, in un giorno qualunque, come annuncia sardonica ed impassibile la voce fuori campo. Seguiamo i movimenti di due uomini, di cui sono inquadrate solo le scarpe: i due non sanno di essere diretti allo stesso treno, nella stessa carrozza, verso due sedili posti l'uno di fronte all'altro, ma il regista, mostrando il convergere delle estremità in un solo punto, si diverte a sottolineare come questi perfetti sconosciuti (vedi il titolo originale) siano reciprocamente attratti contro la loro volontà, anche se, come risulterà chiaro in seguito, uno è un uomo "normale", l'altro uno "psicopatico". Gli individui, sembra dire Hitch, sono come binari: all'inizio separati e paralleli, finiscono per incrociarsi, sostituirsi, confondersi in un groviglio di scambi, che contrappongono alla rigida distinzione bianco/nero una ricca tavolozza di grigi.
C'è un'altra invenzione assolutamente geniale con la quale il regista inglese mette in dubbio le convenzioni che reggono l'interazione sociale: la conversazione che apre il racconto e determina gli eventi successivi avviene in treno, luogo che in realtà è piuttosto un "non-luogo", punto di passaggio, semplice anticamera verso una destinazione, ambiente neutro in cui si parla e si agisce a cuor leggero, senza preoccuparsi di eventuali conseguenze proprio perché si ha la certezza che non si dovrà più avere che fare con gli eventuali compagni di viaggio. La proposta avanzata con aria scherzosa da Bruno, invece, si concretizza fino ad assumere una valenza distruttiva che oltrepassa le intenzioni del suo autore. Similmente, Hitchcock mette a nudo le ambiguità di un'istituzione all'apparenza innocente, "per famiglie", come il luna park, che diviene strumento di morte e castigo, rivelandosi l'autentico deus ex machina (in senso letetrale) del racconto. A demolire le certezze del giallo classico contribuisce anche l'evidente simpatia provata dal regista (e, conseguentemente, dal pubblico) nei confronti del "cattivo", delineato con grande finezza psicologica e quasi "riabilitato" dalla propria vocazione estetica (commettere il delitto perfetto), che lo rende il doppio del regista all'interno dell'intreccio. Bruno non agisce per denaro, ma sente in sè un'autentica vocazione per il crimine, come l'immenso protagonista de L'ombra del dubbio, altro film in cui, attraverso il personaggio di Charlie, zio amorevole e feroce killer, Hitch ribadisce l'eterna, inscindibile mescolanza di bene e male.
"Delitto per delitto" è, ovvio, anche un meraviglioso saggio sul cinema, ricco di inquadrature geniali (il già citato prologo, l'omicidio di Miriam riflesso nei suoi occhiali) e sequenze in cui sono esaltate le folli intermittenze tra vita e arte (la scena della festa, in cui uno strangolamento "per finta" rischia di diventare fin troppo vero). Indimenticabile il montaggio alternato del prefinale, in cui alla tensione (pubblica) dell'incontro sportivo fa da contrappunto la doppia inquietudine (privata) sperimentata dai protagonisti.
Meccanismo perfetto, tempi rigorosi, ironia beffarda: peccato che la coppia protagonistica sia non del tutto adeguata. Granger è un ottimo attore, ma glaciale e un po' troppo antipatico per la parte, la Roman risulta scialba oltre ogni dire. Walker è perfetto. Nella piccola ma determinante parte di Barbara troviamo Patricia, figlia del regista. Hitchcock compare sul treno, alle prese con un contrabbasso, come a ribadire la concezione sinfonica del film, reso grande dal perfetto equilibrio delle parti.

Liberamente (seguito solo a metà) tratto dal primo romanzo di Patricia Highsmith (1950), con un primo adattamento di Whitfield Cook (Paura in Palcoscenico), una bozza di sceneggiatura commissionata e rigettata allo scrittore Raymond Chandler (ma resta il nome come richiamo) e, infine, l’affidamento alla penna dell’esordiente Czenzi Ormonde, assistente di Ben Hect. Il risultato è uno dei thriller più sottilmente beffardi e meglio (cinematograficamente) costruiti del regista inglese, che ritrovò il successo al botteghino (dopo quattro flop), per quanto poco soddisfatto dei protagonisti imposti dalla produzione, Ruth Roman (perché priva di sex appeal) e Farley Granger (voleva William Holden). I capolavori si costruiscono nei dettagli: i due protagonisti, apparentemente antitetici, sono definiti anche dal cibo che ordinano e dal commento sonoro di Dmitri Tiomkin (note esitanti per Guy, decise per Bruno); in tutto il film oggetti e ruoli sono duplicati, come a rimarcare che Bruno non è tanto l’opposto di Guy, ma il suo desiderio inconfessabile, il suo ‘Hyde’ di Jekyll, il suo doppio nella parte oscura (da Nodo alla Gola, torna la figura ‘malefica’ che induce al crimine). Memorabili la partita di tennis con lo sguardo di Bruno controcorrente, l’agghiacciante sequenza della giostra al Luna Park con sopraffino lavoro di montaggio e la scena dello strangolamento riflesso nelle lenti degli occhiali: a funzionare alla perfezione, più in generale, è tutto il lavoro del regista in sinergia con il direttore della fotografia Robert Burks che, da qui in poi, sarà suo collaboratore di fiducia. Il film, in Italia, è uscito anche con il titolo Delitto per Delitto.
