TRAMA
1897, campagna bergamasca: in una cascina padronale, vivono quattro famiglie contadine. Due terzi del loro raccolto vanno al padrone che non vedono mai. Il piccolo di Batistì, dietro suggerimento del parroco, inizia ad andare a scuola. Una donna, rimasta vedova con sei figli, lavora il doppio come lavandaia mentre il nonno riesce a far crescere i pomodori fuori stagione. I primi approcci fra due innamorati.
RECENSIONI
Di famiglia contadina profondamente cattolica, Ermanno Olmi è nel proprio ambiente in questo meraviglioso (neo)realismo che ha ottenuto la Palma d’Oro a Cannes. In un periodo di contestazione della borghesia, di valori della famiglia destrutturati, di urla nichiliste e libertarie, apre la finestra su di un microcosmo di saldi legami cementati nella fede, di solidarietà verso i più deboli (voce del padrone permettendo), di virtù della bontà e della fatica perché, come recita il prete al matrimonio dei due giovani, il denaro non potrà mai comprare il volersi bene di due persone. Il grande amore per questo mondo scomparso porta Olmi a dipingere una sorta d’idillio con una semplicità mai semplicistica e con trasporto antropologico (non mancano le mele marce: il padre che maledice il figlio, l’avidità per la moneta trovata). La cura nella ricostruzione ambientale incanta, la scrittura corale ed episodica restituisce, progressivamente, il quadro completo e la spontaneità degli attori non professionisti (fra cui Carmelo Silva, noto disegnatore): tutto contribuisce a far esperire un mondo di legami con le stagioni, antiche tradizioni e solenni rituali. A funzionare meno sono quei momenti prodigiosi–magici-favolistici, dal miracolo per la vedova alla moneta “rubata” dal cavallo, dalla sezione nell’orfanotrofio di Milano (unica fuoriuscita dalla campagna dove, per contrasto, i due giovani sposi sono testimoni della follia del mondo con le cannonate di Bava Beccaris e i dimostranti in catene) alla figura di suor Maria Angelica che appioppa alla coppia un orfanello con dote, inneggiando ai valori cristiani con sottofondo delle musiche per organo di Bach (presenti in tutto il film ma, qui, con valenza di sottolineatura epica). In seguito, si giunge al “racconto” dell’albero degli zoccoli, e l’opera diventa anche di denuncia, da parte degli uomini senza diritti. Opera parlata in dialetto, con sottotitoli (ma esiste anche una versione doppiata).