Drammatico

LADY MACBETH

Titolo OriginaleLady Macbeth
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2016
Durata88'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo breve “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Nikolaj Leskov
Fotografia
Montaggio
Musiche

TRAMA

Nell’Inghilterra del 1865 la diciassettenne Katherine è costretta a un matrimonio senza amore con un uomo più grande. Soffocata dalle rigide norme sociali dell’epoca, inizia una relazione clandestina con un giovane stalliere alle dipendenze del marito.

RECENSIONI

In principio fu Shakespeare. Ma non è a quella Lady Macbeth, almeno non direttamente, che il regista teatrale William Oldroyd si rifà per il suo debutto cinematografico, bensì alla protagonista della novella “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Nikolaj Leskov, che a sua volta ispirò il compositore Dmitrij Šostakovič per la sua celebre opera in quattro atti. Dalle pagine scritte al grande schermo resta immutato il periodo storico (metà del diciannovesimo secolo) mentre cambia l’ambientazione, dalla Russia zarista alla campagna inglese. La protagonista è una donna costretta a un matrimonio senza amore, vessata dal marito e dal suocero, che trova la passione con lo stalliere. Un grande classico, che il regista non volge in tragedia ma preferisce caricare di ambiguità flirtando con il dramma in costume senza disdegnare incursioni nell’horror. Se dapprima il percorso della protagonista sembra quello del riscatto attraverso la vendetta, il cambio di prospettiva del finale, diverso rispetto al testo letterario, arricchisce il soggetto di una forte valenza politica che lo aggancia alla contemporaneità. Il delitto senza castigo procede infatti all’insegna del conflitto di classe, perché a pagare sono gli ultimi della scala sociale.

Fino a un certo punto gli sviluppi inducono a parteggiare per la protagonista, ma con l’evolvere della ribellione in lucida follia le carte si scompigliano, la razionalità perde appigli e l’amore abbandona ogni ipotesi, già remota, di romanticismo per sfociare in ossessione. Il tutto condotto con uno stile asciutto, attento a valorizzare la ruvidità dei luoghi, l’asprezza dei caratteri e a dare risalto ai contrasti, anche cromatici (a dominare sono i colori freddi, il rosso della passione non si palesa mai). L’insieme si lascia apprezzare per il rigore con cui è condotto, ma non arriva mai davvero a perturbare. A inquinare la percezione è una certa meccanicità nella geometria dei conflitti, smaccatamente finalizzata ad aggiornare il racconto ai nostri tempi. Le sfumature, però, sono poche, le situazioni alla lunga improbabili e i cinque personaggi in cerca d’autore che si dividono la scena talmente essenziali da non uscire dall’archetipo che rappresentano: la moglie, il marito, il suocero, lo stalliere e la serva. Più dell’interagire dei personaggi a essere interessante è l’uso del fuori campo, a cui sono destinati alcuni momenti cruciali, ma la scelta tradisce l’impronta teatrale della regia di Oldroyd, non sempre in grado di dare respiro ai personaggi, per la maggior parte del tempo prigionieri del palco in cui la regia li confina. Il noir in costume che li vede protagonisti finisce quindi per risultare più recitato che vissuto.