TRAMA
Lady Henderson, proprietaria del teatro Windmill, assume come direttore Vivian Van Damm: la coppia, durante la seconda guerra mondiale, tra l’imbarazzo delle istituzioni, presenta spettacoli con nudi femminili per la gioia delle forze armate e di un pubblico provato dalla triste contingenza dei bombardamenti continui cui è sottoposta la città di Londra.
La storia si ispira a fatti realmente accaduti.
RECENSIONI
Stephen Frears, lontano da quelle che a volte si rivelano facili idealizzazioni autoriali, è un regista nel senso classico (oserei dire hollywoodiano) del termine: un ottimo metteur en scene che non manca di applicare al compito assegnatogli (fare un film) la sua spiccata capacità di elaborare la materia narrativa. Il suo eclettismo, esprimendosi con questa modalità, lo ha portato a dirigere film di ogni genere e specie: low e high budget, per major e case di produzione indipendenti, smaccatamente letterari (Laclos, Hornby, Thompson, Doyle, Kureishi...) e/o impegnati - ma solo perché (e non c'è rammarico in questo, è una constatazione) nel tessuto tematico vi era una marcata componente sociale o politica (i film 'londinesi' degli anni 80 per tutti), non mancando nella sua filmografia taluni oggetti inclassificabili (il post western Hi-Lo Country o il quasi cronenberghiano Mary Reilly). La ricerca di un filo conduttore, nel variegato puzzle che è la sua filmografia, risulta difficile al punto che Marco Bertolino, nella presentazione della retrospettiva dedicata all'autore dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e appropriatamente intitolata The Storyteller, scrive: esiste un'espressione inglese che si conviene alla figura di Stephen Frears: 'a man for all seasons', un uomo per tutte le stagioni. Nel caso del (...) regista la definizione perde ogni connotazione negativa.
Ciò premesso l'ultima opera se da un lato conferma l'indubbia abilità del regista, dall'altro mette in chiara evidenza come l'esito alterno dei suoi film poggi sul livello dei suoi collaboratori, e dei suoi sceneggiatori in particolare: è proprio lo script del film infatti a decretare il fallimento di una pellicola che, ambendo alla riproduzione di un modello collaudato (la schermaglia, tacitamente amorosa, di una coppia che battibecca) rivela invece una povertà di profondità e una carenza di prospettiva che a tratti sfiora il vuoto. Quello che manca in Lady Henderson presenta, dietro al risaputo, e probabilmente cercato, meccanismo classico della commedia agrodolce, è lo smalto, l'ironia vera, tutto affidando l'autore alla bravura dei suoi interpreti alle prese con un eloquio che si vorrebbe forbito, ma che risulta al meglio parlantina annacquata. Non pervenuta risulta peraltro la figura della protagonista, abbozzata appena, con un tratto precipitoso che è dato estensibile a tutti i personaggi del film, collezione di figurine anonima e un po' tirata via. Dunque, tolti i bei titoli, l'onesta messinscena, le performance attoriali (c'è anche un sorprendente Will Young, sì proprio quello della cover di Light My Fire dei Doors, intollerabile hit di qualche anno fa), tolta anche una direzione della fotografia particolarmente accurata (l'uso della macchina a spalla, già di per sé insolito per un film dall'impianto convenzionale come questo, è continuo ma mai smodato o 'visibile'), l'opera rimane quello che è: una favoletta stucchevole e innocua, senza brio, senza acume, tutta ripiegata sulla comoda esposizione del 'fattariello'.
Il prossimo progetto di Frears si intitola The Queen e indagherà i rapporti tra Elisabetta II (Helen Mirren) e Tony Blair all'epoca della morte di Lady Diana. Inutile dirlo: non sappiamo cosa aspettarci.
Commedia decisamente tradizionale nel governo dei conflitti umani che visualizza, e condotta con mano sicura ma con mestiere troppo anonimo per non far rimpiangere lo Stephen Frears del bel tempo che fu. Né può dirsi che punto di forza ne sia l'aspetto musical-coreografico, grazioso quanto inconsistente; tanto meno la critica di costume, questa riducendosi a un tenue e innocuo sorriso sulle ipocrisie linguistiche del parlar educato, sulla sciocca pruderie dei benpensanti sconfitta dallepifania del corpo umano, sullottusità del moralismo che sempre ha di mira la libertà dellarte, grande o piccola che essa sia. Niente paura: i buoni trionferanno, e perfino il rigido ciambellano dovrà cedere alla volontà del popolo guidato dallispida Lady, mentre eroina ed eroe celebreranno il trionfo della libertà espressiva e della voglia di vivere (e di ammirare nudità muliebri) in una danza crepuscolare, romantica per quanto consente la loro forte personalità
Lineare sul piano narrativo fino alla prevedibilità, non eccitante nel disegno dei caratteri, il film accusa alcuni sbandamenti sentimental-patriottici, particolarmente molesti in unopera che vorrebbe celebrare la verità di una rappresentazione che sfida l'etichetta e i paludamenti della retorica. Ma c'è Judi Dench: ogni volta che lei è presente - spesso, per fortuna - la scena si illumina, e anche i momenti meno felici acquistano un sapore, e perfino un'intensità, che ne riscattano la pochezza concettuale e l'aridità formale.