TRAMA
Karin, moglie di un medico, inizia una tempestosa relazione adulterina con David, archeologo.
RECENSIONI
Bibi Andersson interpreta la tipica moglie borghese superficialmente soddisfatta ed intimamente irrequieta, che si getta con incoscienza in una relazione extraconiugale più opprimente che liberatoria, con un uomo che è l'esatto contrario del marito: impulsivo, geloso, violento, apprensivo. Che il nocciolo della dissertazione di Ingmar Bergman sia l'ipocrisia della protagonista, si deduce dal modo in cui l'autore ne calca i formalismi e le moine la prima volta che entra nell'appartamento dell'amante, dal suo agire clandestino e meschino nei confronti del marito, dalla sua natura di donna "Che detesta prendere decisioni" (a detta del consorte), dal pianto di coccodrillo che lei, sapendo che lui sa, sfodera al rientro a casa. Dulcis in fundo, c'è l'allegoria della Madonna di legno, corrosa dagli insetti una volta che è stata "liberata" (portata alla luce): anche Karin sente di aver ormai perso la propria "salvezza morale", solo e in quanto non è più in grado di salvare le apparenze. Per contemplare il finto idillio familiare, Bergman si serve di un commento musicale pop e alla moda, e non rinuncia nemmeno al motivo malinconico ed orecchiabile alla Love Story: l'opera (volente o nolente) finisce col rappresentare un disdicevole tentativo dell'autore di conquistare le platee statunitensi con un divo del momento come Elliott Gould e con un melodramma sentimentale nudo, crudo (tipo "amour fou" francese) e banale (all'americana), inconsistente ed irrisolto, con dialoghi stiracchiati che non sono più specchio dell'anima ma balbettii da romanzo d'appendice. La noia regna sovrana, più irritata che vivacizzata dai comportamenti oscuri di Karin verso il finale (coraggiosa o codarda?). Masochista o cosciente, Bergman fa dire ad uno dei figli di Karin riguardo ad un film che non gli è piaciuto: "Troppi sbaciucchiamenti".
