TRAMA
L’accordatore di pianoforte Andrej, ormai ridotto in miseria, è innamorato di Lina, che considera la sua musa. Lei appartiene a una famiglia ricca e potente e per permetterle di vivere nel lusso a cui è abituata, Andrej fa qualsiasi lavoro, anche i più umili e sottopagati. Ma il denaro non basta mai. L’amore lo spinge a superare il sottile confine tra il mondo della rettitudine morale e quello della malavita. Scopre fin dove può spingersi e che le uniche scelte possibili sono rubare, tradire e persino uccidere.
RECENSIONI
Beffe in libertà
Perché relegare in una sezione collaterale il bel film della Muratova ed inserire in concorso il risaputo esercizio di stile della biografa di Sokurov? Misteri di Venezia. Meno fredda e distaccata dalla materia filmica rispetto al suo ultimo (e unico) film uscito in Italia (Tre piccoli omicidi), la regista russa ama a tal punto i propri personaggi (l’anziana soprano, quasi una versione decadente della čecoviana Irina Arkadina e la tenera badante, anch’essa in là con gli anni, ma anche l’astuto ladruncolo che prima le ammalia e poi le beffa) da concedere loro più del tempo strettamente necessario all’evoluzione del racconto: per questo, il narrato passa in secondo piano rispetto al vissuto, episodi che non fanno procedere il racconto ma che, al contrario, lo arrestano (lunghi excursus incastonati in una storiella esilissima) s’impongono a rischio di prolissità. Dialoghi frizzanti ricchi di motti di spirito, stile volutamente sciatto (spesso il doppiaggio è fuori sincrono), ambientazione anni sessanta che permette alla regista di rendere un affettuoso omaggio, senza scimmiottarne lo stile ma anzi ri-leggendolo, alle nuove onde di quel periodo.
Apri gli occhi
Girato in b/n senza alcuna giustificazione razionale, NATROJSCIK è una commedia tirata per le lunghe (ed oltre) che non fa ridere né sorridere, vuole colpire con la psicologia delle proprie marionette (l’anziana signora che giustifica il misfatto di Andrej) ma non le innalza mai dalla materia primaria: il legno. Ingessato e goffo in ogni sua movenza, il film della Muratova più che un apparato coerente presenza un incomprensibile corpo di sketch di mezzo secolo fa (il solito scherzo telefonico) e, quel che è peggio, tenta il salvataggio in corner con l’alibi della favola. Ma i nonagenari racconti accanto al fuoco, seppur pensati per i bambocci, posseggono brio ed inventiva: qui la sorella Grimm dei diseredati, dove il motore di tutto è (sorpresa!) l’Amore, intende assurgere alla definizione di autore e piazza il guinzaglio alla platea per 155 minuti, costringendola ad una sfilza di inconcludenti elucubrazioni (rubare si può?). Esercizio di spiccata gigioneria per l’intero cast, George Deliyev in primis, che le prova tutte per accattivarsi simpatie ma riesce ovviamente odioso. Una sistemazione troppo comoda può indurre sonnolenza, che poi è la cosa migliore.