
TRAMA
La “zona morta” del titolo è il “luogo” spazio-temporale che si creato da Johnny, mite professorino di liceo divenuto veggente a seguito di un incidente automobilistico e di un lungo periodo di coma vegetativo. Diviso tra la volontà di separarsi dal mondo e la necessità morale di intervenire per modificare il naturale corso delle cose, deciderà di sacrificarsi per salvare l’umanità dalla follia di un politicante senza scrupoli.
RECENSIONI
Pur essendo una delle "transcodificazioni" più interessanti di un romanzo di Stephen King, il film non è tra i migliori del grande Cronenberg. Sua prima opera americana con budget consistente (produce Dino De Laurentis), La zona morta, realizzata nello stesso anno (1983) del suo primo capolavoro (Videodrome), segna una sosta forse necessaria nel lungo, vorticoso iter nel labirinto dell’inconscio iniziato nel 1975 con Il demone sotto la pelle. Evitando sia l’effettistica spesso triviale del genere horror (e dunque non cedendo alle lusinghe del mercato americano), sia l’estremismo baconiano dei suoi film più personali e “visceralmente razionali”, Cronenberg costruisce un dramma psicologico che, pur con premesse soprannaturali e “perturbanti”, ha tutti i crismi della classica dilacerazione interiore, realistica e naturale. Se inizialmente il regista gioca con lo spettatore mettendolo di fronte ad eventi che sfuggono e vanno contro la logica razionale e lo spinge a porsi una domanda (“come fa?”) cui la scienza umana non può dare risposta, successivamente, esauritosi l’effetto sorpresa, lo conduce nella psiche tormentata del protagonista, preda di angoscianti dilemmi morali, suscitando domande di ordine differente (“cosa farà?”). Il dono paranormale fa sorgere in Johnny un duplice senso di colpa: uno, di ordine fisico (il non essere intervenuto per impedire omicidi cui ha “assistito”); un altro, di ordine metafisico (lo sfidare dio e il destino). La veggenza uccide? Uno sguardo nell’ “altro/oltre” è uno sguardo contro il destino e contro se stessi? L’uomo, che in un eccesso di “ybris” maledice Dio, vive la propria diversità come una malattia mortale e, quasi consapevole della diabolicità implicita nel suo agire come rivale più che come “mano” di Dio, si sente un “alter/anti-Cristo”. Una forza esterna sembra averlo sconvolto (“Che c'è dentro di me?”), una forza non necessariamente benigna che solo un atto estremo e altamente morale quale il sacrificio per l’umanità (e dunque la morte) potrà soverchiare e rendere positiva. Il regista dimostra ancora una volta di essere uno dei pochi artisti contemporanei capaci di dare forma ai mostri dell’inconscio e, sebbene tenuto un poco a freno dalla produzione, ha modo di dare ai giovani amanti dello splatter all’acqua di rose lezioni di “archeologia dell’orrore” sussurrando loro: “niente sangue, niente effetti speciali: l’orrore nasce dentro di voi!". Il grande Christopher Walken è assolutamente perfetto nel ruolo del fantasmatico protagonista, personaggio essenzialmente tragico cui fa da alter ego negativo il “presidente operaio” Martin Sheen. Come quasi sempre in Cronenberg, le atmosfere sono glaciali e lo "sguardo" programmaticamente freddo. Non siamo ai livelli di Videodrome o Il pasto nudo ma si vola comunque alto.
