TRAMA
La vita di David Copperfield, dalla nascita all’età adulta: l’infanzia segnata dalla perdita della madre, l’accoglienza della zia, una nuova casa e nuovi amici.
RECENSIONI
David Copperfield, forse il più celebre dei romanzi dickensiani, ha avuto molte vite sul grande come sul piccolo schermo. Non quanto Il canto di Natale, né Oliver Twist o Grandi speranze, forse proprio perché si tratta di una vicenda densissima di sviluppi e personaggi. Si conta almeno una trasposizione per decennio, partendo dal cinema muto, alla pellicola anni Trenta, passando per qualche versione animata, fino allo sceneggiato italiano del 2009 con Pasotti e Sansa (!).
Generalmente, si è trattato di letture poco riuscite, anche perché due ore di film non bastano alla ricchezza del romanzo fiume. Una delle versioni più belle è quella italiana del 1965 del mitico Anton Giulio Majano, con un imberbe Giancarlo Giannini negli educati panni di David.
Anche questa nuova pellicola soffre un po' la difficoltà di condensare tutto nei tempi cinematografici senza perdere il meglio, dalle singole trovate alla bellezza dell'arco narrativo tracciato dallo scrittore.
Già nel titolo si intravede una traccia della ricerca di un'identità propria di questo DC 2020. Non si chiamano più Le avventure ma The Personal History e, in italiano, La vita straordinaria di David Copperfield.
David ci viene presentato non soltanto come narratore, ma come una persona che crea storie istintivamente. Viene infatti posto l'accento sul David scrittore, tanto che viene tralasciata la professione legale. Il suo ruolo di io narrante è però discontinuo e un po' pretestuoso.
La cifra che dovrebbe distinguere questa versione dalle altre è, d'altra parte, soprattutto l'ironia sbarazzina, accompagnata ad un ritmo sostenuto. Si è molto lodata la pellicola, definita brillante e originale, come se si dimenticasse che l'opera di Dickens era già molto divertente in origine e poca parte sembra frutto della fantasia degli sceneggiatori.
Vi è poi un'altra scelta che vorrebbe caratterizzare il film: il cast ostentatamente interrazziale. Se questa deve diventare una delle chiavi del film, però, evidentemente qualcosa non va. Gli attori sono pretestuosamente eterogenei per razza, in un modo del tutto gratuito, che non solo stride con la storia e con la logica, ma, cosa più grave, non risulta in nessun modo funzionale.
In compenso, alcuni personaggi sono ben delineati - Heep, la zia, Steerforth, il signor Dick, Micawber. David non ha mai brillato per personalità, Steerforth è fedele all'idea dickensiana - sa conquistare facilmente il prossimo, non stima se stesso e cerca di dimenticarlo con le bisbocce, è attratto dal candore di David e culla l'immagine che il ragazzo ha di lui -, molti altri sono sapide caricature nello stile dello scrittore.
Altri elementi, invece, mancano, più per gestione maldestra che per necessità di sintesi. Mancano del tutto la figura altruistica e salvifica del padre adottivo dei ragazzi, il riscatto dell'anziana signora lamentosa, l'evoluzione di Emily (questa, effettivamente, superata, ma certo non migliorata dalla figura piangente a cui la ragazza viene ridotta). Agnes non ha più nulla della donna angelicata dickensiana, anzi sembra il suo opposto per approccio e, tuttavia, risulta più moderna ma non meglio delineata. Volutamente, le donne hanno movenze non ingessate e non eleganti, l'eroina rientra in questa logica.
Tra colpi andati a segno ed altri mancati, si nota facilmente che alcuni elementi del romanzo vengono incastrati in modo arbitrario per operare una sintesi, ma raramente conservano senso e utilità (Micawber professore, la madre di Steerforth a cui viene attribuita la cicatrice procurata dal ragazzo, la rissa col macellaio come rito di passaggio).
Più divertenti alcune scene comiche, a cominciare dal mappamondo porta liquori, e Micawber, sempre in fuga dai creditori, per non dir dei capelli ubriachi.
Aspetto non trascurabile, David Copperfield è a tutti gli effetti un romanzo edificante, ed era giusto modernizzarlo ed asciugarne l'approccio didascalico, ma non così sarebbe dovuto essere per i sentimenti, le solide basi su cui poggia la narrativa dell'autore vittoriano. L'amore, l'amicizia tradita e perduta, il legame madre-figlio sono tra i punti cardine della storia. Il dolore sembra invece bandito dalla pellicola, quasi una zavorra in un'opera pensata per divertire, mentre, in realtà, era funzionale non soltanto all'effetto emotivo sul pubblico, ma anche alla crescita dei personaggi. E così niente lutto, nessun passaggio tra una fase e l'altra (Dora, Ham, nessun viaggio di espiazione/rinascita dall'altra parte del mondo, in Australia). Non ci sono più le contrapposizioni simboliche tra amico giusto e amico sbagliato, tra donna bambina e donna con cui costruire la vita, tanto esplicite ma tanto dickensiane.
DC è uno dei romanzi di formazione per antonomasia, questo film, al contrario, non lo è quasi per nulla. Il protagonista cresce nel corso della storia? Nulla ce lo mostra.
Quel che rimane è abbastanza gradevole, ma anche superficiale, bozzetti che fanno sorridere ma non toccano.
Nel lodevole cast di questa nuova versione si segnalano, molto adatti al loro ruolo, Tilda Swinton, Hugh Laurie, Peter Capaldi (Micawber), Daisy May Cooper (Pegotty) e tutto sommato Ben Whishaw.