TRAMA
Viene rapito il figlio del proprietario di un caseificio che indugia a vendere tutto per pagare il riscatto.
RECENSIONI
Opera tragicamente sbagliata, snervante, disseminata di chiavi interpretative semplicistiche se prese a sé e confuse fino alla contraddittorietà in una visione d'insieme, (volutamente) irritante e (inavvertitamente) risibile. L’intento di Bertolucci, che ha avuto più di un ripensamento sull’opera (rispetto alla copia presentata a Cannes c’è un finale differente ed è stata aggiunta la voce narrante), era di destrutturare il racconto nel momento in cui crollava il sistema di valori del capitalista protagonista. Più che inaspettato, il nuovo finale che invita lo spettatore a sbrogliare la matassa da solo è assurdo, perché Bertolucci non è stato in grado né di raccontare in modo verosimile una storia drammatica con mire antiborghesi, né di realizzare un'opera grottesca sul filo del (sur)reale, infarcita com’è di soli atti comici gratuiti, più insulsi che paradossali, scritti e recitati in modo balordo. Da un lato, la lettura dei vari segmenti è oltremodo lapalissiana ed è pedestre il gioco che mette alla berlina i personaggi (il capitalista attaccato ai soldi e allergico agli affetti; i giovani terroristi; i notabili del paese; gli strozzini); dall'altro si annaspa nell'oscurità di un caos idiota (non contorto, come qualcuno ha scritto) che mescola caratterizzazioni sopra le righe, invenzioni anti-(non extra)-diegetiche (il prete che cerca Tognazzi con gli altoparlanti; Laura che, improvvisamente, gioca a mosca cieca o si denuda; la cuoca che balla il rock'n'roll) e inutili momenti "perversi" (Ricky Tognazzi ha un rapporto omosessuale con il prete? Sembrano dirlo delle foto; Ugo s'avventa su Laura, fidanzata del figlio...). In questa pianura padana contadina (parmense) dove si consuma il non-rapporto fra Padre e Figlio, solo (ma non è poco) il corpo d'attore di Ugo Tognazzi strappa un plauso.