Drammatico

LA TERRE OUTRAGÉE

TRAMA

A Pripyat, una cittadina di cinquantamila abitanti immersa nel verde dell’Ucraina, è arrivata la primavera. È il 25 aprile del 1986, il piccolo Valery pianta un melo con l’aiuto del padre Alexei, uno scienziato. Anya e Piotr festeggiano il matrimonio con amici e parenti. Un’esplosione nella vicina centrale nucleare di Chernobyl, seguito da violenti acquazzoni, scuote la comunità che, ignara dei pericoli, viene sfollata solo quattro giorni dopo. Piotr partecipa alle operazioni dei vigili del fuoco. Dieci anni dopo, in uno scenario apocalittico, Anya ritorna in quei luoghi deserti come accompagnatrice di visite guidate. Piotr non ha mai fatto più ritorno a casa. Alexei è disperso. Valery, ormai ragazzo, è in cerca di un passato che gli è stato sottratto. Per tutti i sopravvissuti nulla sarà più come prima.

RECENSIONI


Un bambino incrocia lo sguardo di una sposa felice. Un giovane triste si perde negli occhi di una ragazza ormai sfiorita, con una vistosa parrucca bionda per coprire i segni della malattia. In mezzo a questi due incontri, dieci anni di vita, e di dolore. Una struttura circolare incornicia infatti l’esistenza di due personaggi, e di chi gravita loro intorno, nei momenti che precedono e seguono uno dei più grandi disastri nucleari che la memoria conosca: quello di Chernobyl del 1986. Con uno stile quasi documentaristico, la regista franco-israeliana Michale Boganim costruisce le premesse della devastazione creando un forte contrasto tra il prima, solare e spensierato, e il dopo, invece disperato e cupo.


La tragedia arriva nel giorno delle nozze per la bella protagonista - l’intensa Olga Kurylenko che abbandona con disinvoltura i panni di “Bond girl” (era co-protagonista in Quantum of Solace) per entrare in quelli di una donna comune - alle prese con un evento imprevisto e distruttivo. Il film non sceglie un taglio cronachistico, non racconta l’incidente, ma prova a inserire una storia melodrammatica all’interno di un contesto reale. Ed è proprio su questo aspetto che arranca maggiormente. Se la visione dei territori abbandonati a causa delle radiazioni (i luoghi sono veri), immersi in un silenzio quasi poetico nel dolore trattenuto che sono in grado di evocare, è già di per sé sconvolgente, le due storie che si incrociano - quella della donna in cerca di una nuova  vita dopo il fallimento della precedente e del ragazzo che spera ancora di incontrare l’amato padre dopo la separazione nel giorno dell’incidente nucleare – procedono in disequilibrio, faticando a trovare un terreno cinematografico comune.


Resta comunque un esperimento interessante che induce alla riflessione sul senso di appartenenza dei personaggi alla propria terra. Un cordone ombelicale che i protagonisti scelgono di non recidere, per paura dell’avvenire ma anche per dimostrare il fiero legame, quasi viscerale, al luogo da cui provengono e a cui vogliono definitivamente tornare. In questo senso i personaggi finiscono per portare sulle spalle il peso della tesi che sono chiamati a sostenere, il che li appesantisce di valenze simboliche più collettive che individuali. Suggestivo il commento musicale, che alterna musica popolare a sonorità jazz (i brani originali sono del jazzista polacco Leszek Mo¿d¿er).